Vi sono alcuni concetti che la filosofia affronta in maniera assoluta, senza cioè cercare appigli con ciò che il mondo esterno ci offre. Questo perché l’indagine sul mondo, giustamente, va portata avanti senza che ci sia qualche preconcetto che possa indirizzare l’evoluzione di un pensiero. La scienza (meglio, il metodo scientifico), invece, parte da un’elaborazione concettuale che per essere valida necessita di verifica. Verifica, non validazione. Se l’osservazione di un fenomeno porta all’elaborazione di una teoria, questa deve poi essere verificata su fenomeni diversi da quelli che hanno scaturito l’ipotesi. È stato così per la legge di Gravitazione di Newton, per quelle – meravigliose – dell’elettromagnetismo di Maxwell, per i concetti dell’inizio del XX secolo che hanno rivoluzionato il nostro modo di “vedere” il mondo, come la relatività di Einstein e la Meccanica dei Quanti. Tutte teorie che rappresentano il mondo nell’ambito, ognuna, del loro campo di applicazione. Di sicuro la scienza non può – né vuole – spiegare concetti come l’altruismo o la capacità di meditazione.
Quando si parla di tempo e spazio, però, questo confine si fa molto più labile, e scienza e filosofia sono costrette a camminare assieme. Perché a partire dagli inizi del XX secolo, la concezione di tempo e spazio come di due “assoluti”, come del palco su cui l’evoluzione dell’universo si compiva è andata in frantumi. Tempo e spazio non solo non sono assoluti, ma relativi a chi li “esperienza”, ma non sono neanche due cose diverse: solo due diverse declinazioni di un unico “principio primo”, lo spazio-tempo, che influenza ed è a sua volta influenzato da ciò che contiene.
È quindi la filosofia a doverci venire in aiuto per elaborare concetti così fuori da quello che è il “senso comune”, ricordando che già nelle nostre esperienze possiamo avere spazi e tempi dilatati o ristretti a seconda dei nostri stati d’animo. A patto, però, che i filosofi sappiano qual è attualmente la teoria scientifica che meglio descrive il mondo.
Tonelli, in questo libro, regala ai filosofi, a mio modo di vedere, proprio questa visione. Lo fa con tono leggero ma non semplicistico, spaziando nella storia della scienza e della filosofia con anche rimandi alla letteratura (su tutti, l’immenso Borges). Passiamo dal tempo assoluto, al tempo locale, al tempo come variazione di energia, al rapporto dello spazio-tempo in condizioni estreme (buchi neri, particelle come il bosone di Higgs, manifestazioni estreme della realtà negli acceleratori del CERN). Fino al concetto di granularità dimensionale dello spazio e del tempo delle teorie moderne delle stringhe e della gravità quantistica a loop, dove il tempo diventa non più necessario, e quindi “non esistente”. La scienza descrive, non interpreta. Sta alla filosofia farlo, conoscendo però quelle descrizioni.
Il libro si legge bene, ed è soprattutto fonte di stimolo. Consiglio di fermarsi, dopo ogni capitolo, a pensare alla realtà “alternativa” che ognuna di queste descrizioni suggerisce, per vedere quando possiamo andare con il pensiero in larghezza e in profondità.