SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE, di Luigi Pirandello

con: Felice Della Corte, Silvia Brogi, Gino Auriuso, Francesca Innocenti, Gioele Rotini, Marco Lupi, Titti Cerrone, Luca Vergoni, Andrea Meloni, Jessica Agnoli, Fabio Orlandi

adattamento e regia Claudio Boccaccini

 

“Sei personaggi in cerca d’autore” è molto probabilmente l’opera più famosa di Luigi Pirandello e, di sicuro, quella che più di ogni altra ne compendia e sintetizza le tematiche, i climi, le suggestioni. L’opera debuttò nel 1921 e il pubblico rimase talmente sconcertato che alla fine dello spettacolo contestò violentemente lo stesso autore presente in sala al grido, come si sa, “Manicomio! Manicomio!”. Oggi, a distanza di un secolo, in una società profondamente mutata, è lecito chiedersi cosa rimanga di scandaloso, di disorientante, di sorprendente in quest’opera. Si può escludere sicuramente il meccanismo del “teatro nel teatro”, ormai trito, visto e rivisto. Anche il linguaggio, che può anzi risultare oggi spesso ridondante, prolisso, barocco, specchio di una certa “italietta” prefascista piccolo-borghese, ormai poco funzionale a una moderna visione dell’azione e comunicazione scenica.

Quello che continua a stupirci e appassionarci in questa grande opera è altro. Tanto altro. Il “plot” ad esempio, che in Pirandello è sempre geniale, avvincente, appassionante e in questo caso anche ricco di colpi di scena; e poi lo scavo nella desolazione e nelle trappole dell’animo umano; e poi ancora la messa a confronto, impietosa, tra una concezione del teatro stanca, annoiata, routinier – che ha i suoi rappresentanti nel gruppo della “compagnia”, capocomico e attori – e la verità feroce e vibrante della teatralità vitale e ardente nei “personaggi”.

Ecco, in questo soprattutto è continuamente ribadito un concetto tanto caro a Pirandello: quanto i personaggi, frutto della fantasia di un autore, siano più vivi e veri delle persone reali. Talmente vivi e veri che invaderanno un giorno il palcoscenico di un teatro interrompendo, con un colpo di scena, la prova di una compagnia e dando inizio così a un’opera considerata a ragione un testo capitale della drammaturgia universale.

Claudio Boccaccini

I “sei personaggi” sono sempre da vedere e da apprezzare. E Claudio Boccaccini ne da una versione interessante e non banale. A cominciare dall’ingresso dei sei personaggi in scena, reso in maniera “drammatica” dalla comparsa improvvisa da lunghe tende di cellophane come quelle che si usano durante le ristrutturazioni di interni. Il contrasto tra la troupe e i personaggi è molto stridente, tanto che quasi non si parlano. L’unico strumento di dialogo rimane il capocomico, che usa dei tormentoni per parlare con i suoi attori, archetipici nella loro costruzione (la diva capricciosa, l’attore con il passato importante, l’attrice giovane con la sottintesa storia col capocomico…) e diventa invece “vero” quando parla con i personaggi.

 

La scelta di mettere più in primo piano la storia drammatica dei personaggi, rendendo il confronto tra finzione e realtà qualcosa che rimane più sullo sfondo è una lettura personale, discutibile forse, ma frutto – come lo stesso regista dice, di una scelta ben meditata.

 

La madre e la figlia son rese perfettamente nella loro drammaticità tragica (la prima) e sfrontata (la seconda), che spinge molto dando l’idea di una paranoia violenta con la quale esorcizzare il dramma che vivono in continuazione. Meno in risalto il padre e il figlio grande, resi quasi “vittime” della tragedia. Anche il padre, nonostante le sue scelte, alla fine subisce il destino. Mentre madre e figlia la affrontano, uscendone però sconfitte.

 

Nel complesso, una versione che poco si discosta da quella originale (fatti salvi gli ovvi cambiamenti dovuti alla contemporaneità) e che per questo è apprezzabile. Gradevolissimo il finale, con la finzione che scompare, rendendo però “realtà” le persone. L’Aiuto regista, che da “coso”, diventa “Andrea”.