Le elezioni politiche italiane del 1968 per il rinnovo dei due rami del Parlamento della Repubblica Italiana – la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica – si tennero domenica 19 maggio 1968, nel pieno della contestazione del Sessantotto. Le elezioni videro l’affermarsi della Democrazia Cristiana, in lieve crescita, e dell’alleanza del Centrosinistra che mantenne la maggioranza seppur ridimensionandosi. 

L’esperimento di fusione tra Partito Socialista Italiano e Partito Socialista Democratico Italiano, non ottenne il successo desiderato, al contrario dei dissidenti socialisti coagulatisi nel Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria che, alleandosi con il Partito Comunista Italiano, rinvigorirono l’opposizione di sinistra. Per quanto riguarda quella di destra, vi fu invece un calo di consensi, sia per la componente liberale, che ottenne comunque buoni risultati, sia per quella missina. Con queste elezioni continuò il declino dei Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, che per l’ultima volta si presentarono alle elezioni politiche, mentre si arrestò la stagnazione dei Partito Repubblicano Italiano che tornò a crescere.

La legislatura conclusa aveva visto l’alternarsi di 3 governi presieduti da Aldo Moro e sostenuti dal Centrosinistra. L’alleanza, che era nata da spinte riformiste con l’intenzione di sfruttare il boom economico ormai esauritosi per realizzare un Welfare efficiente in favore dei ceti sociali più bassi, mancò il suo obiettivo e si ridusse in una coalizione litigiosa e incapace di portare al Paese quel cambiamento tanto sperato. In questo clima di sfiducia sorsero nel 1966 le prime contestazioni studentesche che si estesero a tutto il mondo universitario tra 1967 e 1968. Gli studenti, che manifestavano per il diritto allo studio e per un più generale cambiamento della società italiana, non furono inizialmente presi in considerazione dalla politica ed anzi furono spesso respinti dalle forze dell’ordine. Questi provvedimenti non fecero altro che acuire lo scontro a cui presto si unirono anche i lavoratori operai. Nessuna forza politica poteva dirsi rappresentante di questo movimento popolare ma diverse tentarono di appropriarsene. Certamente il Partito Comunista era il più vicino alle cause della protesta, ma questa posizione fu rincorsa anche dall’ala più a sinistra del PSI riunitasi nel Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria che, credendo nell’unità della classe operaia, rifiutò l’alleanza con la DC ed anzi strinse solidi rapporti con il PCI formando liste uniche al Senato. Il PSI, persa la corrente di sinistra, intrecciò relazioni con i socialdemocratici, colleghi di governo, fino alla decisione di creare una lista unica, il PSI-PSDI Unificati, che raccogliesse tutti i socialisti moderati.

La Democrazia Cristiana ottiene un lieve aumento di consensi, trainata dai forti incrementi in Abruzzo, Sicilia e Basilicata che si aggiungono alle zone di forte consenso democristiano come Triveneto, Alta Lombardia, Provincia di Cuneo e Campania. Cala invece in altre zone del Sud come Molise e Calabria. Nel Centro Nord il partito è per lo più stabile con una timida crescita nel Nord Ovest che però resta una delle zone in cui lo scudo crociato è meno apprezzato, insieme alle Regioni Rosse e alla provincia di Roma. Il Partito Comunista Italiano ottiene un buon aumento di consensi, frutto di una generale avanzata su tutto il territorio nazionale con l’esclusione delle regioni più meridionali, Basilicata, Calabria e Sicilia, dove i comunisti arretrano. In particolare, gli incrementi migliori si registrano nelle Regioni Rosse e nel Nord Ovest, che, insieme alla Sicilia meridionale, si confermano le zone più forti del PCI a cui si aggiunge in questa tornata anche la provincia di Napoli, al contrario del resto della Campania dove i comunisti incontrano molte difficoltà. Le altre zone negative per il partito sono il Molise, l’Abruzzo meridionale, la Sicilia settentrionale, la provincia di Cuneo, l’Alta Lombardia e il Nord Est anche se si nota una progressiva avanzata del voto comunista sulle coste e nel Polesine. L’unificazione di Partito Socialista Italiano e Partito Socialista Democratico Italiano delude profondamente in questa tornata elettorale, specialmente al Centro-Nord dove spesso il PSI-PSDI Unificati raccoglie i consensi del solo PSI nel Elezioni politiche italiane del 1963 o addirittura non arriva nemmeno a questo risultato. Saragat se la prenderà col “destino cinico e baro”, noncurante del suo ruolo istituzionale (era Presidente della Repubblica) ma tra lui e Nenni avevano completamente sbagliato le loro previsioni. Emblematico è il caso dell’Umbria dove perde il 3% dei consensi rispetto al PSI del ’63, mentre nelle province di provincia di Varese, provincia di Venezia e Provincia di Massa e Carrara, il PSU perde oltre il 10% dei consensi ottenuti separatamente da PSI e PSDI. 

Nonostante questo deludente risultato il Nord Italia resta la zona forte dei socialisti e dei socialdemocratici con risultati notevoli a Provincia di Belluno, in Friuli-Venezia Giulia e nelle province attraversate dal Ticino (fiume) e dal Po. I risultati al Centro Sud sono in generale più bassi di quelli del Nord ma presentano contrazioni meno accentuate e qualche sporadico aumento come nel Molise e in Calabria, in particolare in provincia di Cosenza dove ottiene più del 20% dei voti crescendo del 6%, facendo entrare questa regione tra le più forti del voto socialista. Il Partito Liberale Italiano perde consensi in modo generalizzato con l’esclusione del Italia nord-orientale dove resta stabile. Cali particolarmente forti sono registrati in Abruzzo, Campania e Sicilia. Le zone forti dei liberali si confermano il Nord Ovest, le province di provincia di Trieste, provincia di Roma, provincia di Benevento e provincia di Messina, mentre continua ad aver difficoltà nel resto del Centrosud. Il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria ottiene ottimi risultati nel Centro-Nord e in Sicilia, con massimi dell’8% nelle province di Provincia di Massa Carrara ed Provincia di Enna, mentre nel resto del Sud Italia incontra maggiori difficoltà. Il Movimento Sociale Italiano perde consensi quasi ovunque, con l’eccezione della Campania dove, in controtendenza, incrementa i propri voti. Al contrario, nel resto del Sud e nel Lazio i missini subiscono perdite considerevoli, non intaccando però la notevole forza del movimento in queste zone. Resta invece piuttosto debole nel Centro Nord, dove oltretutto perde consensi, soprattutto in provincia di Trieste in cui comunque ottiene ottimi risultati. Il Partito Repubblicano Italiano inverte la tendenza che lo vedeva in una lunga fase di declino e stagnazione e segna una crescita generalizzata, con l’eccezione della Sardegna. Particolarmente rilevante è l’incremento ottenuto in Sicilia dove arriva a guadagnare fino al 5%. Questo permette all’isola, insieme a Campania e Calabria, di aggiungersi alle zone forti repubblicane, Romagna, Marche, Lazio e la costa Toscana. Resta invece piuttosto debole nel Nord e nelle altre regioni del Mezzogiorno. Il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica perde consensi ovunque con cali particolarmente marcati in Abruzzo, Campania e Calabria. Ciononostante il Centrosud si conferma la principale, se non unica, zona d’influenza dei monarchici con risultati superiori al 6% in Campania. Il distacco tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano si riduce di poco meno di un punto percentuale ma a livello territoriale si assiste a due tendenze contrapposte, un rafforzamento della DC nel Meridione con la riconquista di Provincia di Trapani e una forte diminuzione del distacco nel Lazio e nel Nord Ovest, dove il PCI conquista le province di Provincia di Genova, Provincia di La Spezia e Provincia di Mantova, accompagnata da un netto aumento del vantaggio comunista nelle Regioni Rosse.

Le elezioni consegnarono al Centrosinistra una solida maggioranza, tuttavia le agitazioni interne al PSI condizionarono l’alleanza con la DC e la stabilità politica. Il deludente risultato del PSI-PSDI Unificati, ne decretò la pressoché immediata fine, con la ricostituzione del PSI e la nascita del Partito Socialista Unitario che riprese il nome di PSDI pochi anni dopo. Inoltre l’ottimo risultato del PSIUP intimorì il PSI che vide nel ritorno a sinistra la strategia migliore per far rientrare il voto massimalista. Dopo un’iniziale incertezza, che portò alla costituzione del breve Governo Leone II, i socialisti decisero comunque di proseguire nell’esperienza di governo guidato dal segretario democristiano Mariano Rumor. Con le agitazioni sindacali dell’autunno caldo nel 1969, l’azione di governo si rinvigorì portando alla realizzazione dello statuto dei lavoratori del 1970. Le elezioni regionali del 1970 furono negative sia per i democristiani che per i socialisti, scesi sotto il 10% dei voti, e determinarono la fine dei governi Rumor, decretando il ritorno alla una stagnazione politica. Nelle Elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1971, la DC si presentò divisa tra Amintore Fanfani e Giovanni Leone che a lungo era stato l’avversario di Giuseppe Saragat nella precedente elezione. Lo scontro si risolse dopo 23 scrutini con l’elezione di Leone con il determinante appoggio del Movimento Sociale Italiano.