Alle urne si presentò più del 79% degli aventi diritto, per decidere su ben cinque quesiti, di cui due sull’IVG. Il primo era stato promosso dal Partito Radicale, che chiedeva la totale liberalizzazione della pratica abortiva, eliminando il divieto per le ragazze minorenni o per chi ne facesse uso dopo i primi 90 giorni di gestazione, entro i quali la 194 lo permette. I radicali, poi, volevano estendere anche alle case di cure private la possibilità di attuarla. Gli altri temi lanciati dal partito dell’allora segretario Francesco Rutelli riguardavano l’abrogazione dell’ergastolo, il porto d’armi e il fermo di polizia (tutti bocciati).
Il secondo, invece, era stato proposto dal Movimento per la Vita, un’associazione nata qualche anno prima proprio con l’obiettivo di contrastare l’aborto, ed era appoggiato dal mondo cattolico. Anche Papa Giovanni Paolo II, infatti, si espresse a favore di una mobilitazione per la difesa del diritto alla vita, dopo la promulgazione della legge 194. Due quesiti erano stati presentati: uno “massimale” che invocava l’abrogazione dell’intera legge, ma che venne scartato dalla Corte Costituzionale, e uno “minimale” in cui erano proposte alcune riforme della legge per limitare l’IVG solo in casi terapeutici.
Dopo mesi di dibattiti, il paese arrivò spaccato a quei giorni di metà maggio, ma la risposta della popolazione fu netta. Con l’88,42%, equivalenti a 27.395.909 voti, la proposta radicale fu bocciata a fronte dei 3.588.995 Sì (11,58%). Mentre sulla questione promossa dal Movimento per la Vita ci fu meno scarto: il No si impose con il 68% contro il 32% che votò a favore. Fu un momento decisivo per la società italiana, al pari del referendum abrogativo sul divorzio bocciato nel 1974.
La celebre 194 era stata promulgata da Giovanni Leone tre anni prima, il 22 maggio 1978, anche se il percorso che portò la politica e il paese alla depenalizzazione dell’aborto fu lungo e intenso, arrivando a conclusione nelle stesse settimane del rapimento del leader della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.