Con questo racconto ho partecipato al concorso Racconti e Favole “Dantebus” I Edizione
A Fernando Conti, delegato di Pubblica Sicurezza del quartiere San Giovanni di Roma, questa rogna piaceva poco. Il caso era risolto, visto che l’assassino aveva compiuto il suo gesto sotto gli occhi di tutti e non aveva posto resistenza all’arresto. Ma il “reo” – così era scritto sulla prima pagina del dossier del caso – era il figlio di uno dei commercianti più famosi di Roma, il che implicava attenzione, molta attenzione. Oltretutto era domenica sera, e non vedeva l’ora di andare a casa. Così, si rivolse con tono deciso all’uomo che aveva di fronte. Lo avrebbe strozzato volentieri, ma il dovere glielo impediva.
«Allora, signor Aureli, vediamo di sbrigarci. Sono le otto di sera, e sono stanco. Mi aiuti a terminare il verbale e potremo andarcene, ognuno dove deve, va bene?»
«Lei è stanco, Signor Delegato? Si figuri io, che sono in piedi dall’una di questa mattina e ho corso per 80 chilometri! Pretendo che mia stia a sentire, ci vorrà il tempo che ci vorrà!»
«Lei, con due omicidi sulla coscienza, non credo sia nella posizione di poter dare ordini a qualcuno, signor Aureli. Quindi, risponda alle mie domande, senza fare commenti, sono stato chiaro?»
«E no, Delegato, se la mettiamo così io mi sto zitto e faccio chiamare l’avvocato da mio padre. Poi vediamo chi si ritroverà in una posizione scomoda! Io ho fatto ciò che doveva essere fatto.»
«Doveva ammazzare due persone? E chi glielo ha ordinato?»
«La mia coscienza! Lasci che le racconti: all’una e mezzo di notte ero vestito da sportsman, così come mi vede, davanti a Porta Maggiore, pronto a prender parte all’Audax Podistico…»
«Aureli, stia al punto stiamo parlando del suo duplice assassinio, non mi interessa di ciò che stava facendo prima, né delle sue infantili passioni per la corsa.»
Al delegato Conti sembrava stupido – non trovava un’altra parola – che gente con una buona posizione e piena di soldi perdesse tempo e denaro a gareggiare tra loro in attività inutili come la corsa, il nuoto o quei nuovi sport venuti dall’Inghilterra come il lawn-tennis e il football, ma il ventesimo secolo appena iniziato reclamava il suo dazio alla modernità. Lui era vecchio, e determinate cose non poteva, né voleva, concepirle.
«Delegato, lasci che e racconti le cose a modo mio, o mi sto zitto e qui facciamo notte!»
«Va bene ma, perdio, non ci metta un’eternità»
«Come le stavo dicendo, eravamo tutti davanti a Porta Maggiore…
I venticinque candidati all’Audax Podistico per il 1901 stavano rabbrividendo per il freddo. Nonostante fosse l’ultimo giorno di marzo, la temperatura era ancora rigida e l’abbigliamento da podista non li riparava dalle folate di vento gelido che, a tratti irregolari, provenivano dalla via alle loro spalle. Ma non ci stavano facendo caso più di tanto: quello era il giorno che attendevano da mesi: il conferimento dell’Audax podistico era il coronamento di tutti i loro sforzi, e oggi era il giorno in cui avrebbero raggiunto l’obiettivo. Divisi in quattro squadre erano tutti in attesa della partenza. Il cassiere aveva appena verificato il corretto pagamento della quota di tutti i partecipanti, e il direttore di Gara, il famosissimo Luigi Bigiarelli, stava dando gli ultimi avvisi.
«Allora, cari colleghi podisti, ricordo le regole principali: Il tragitto di 75 chilometri sarà il seguente: Roma Porta Maggiore, Montecompatri, Monte Porzio, Frascati, Marino, Albano, Roma Porta San Giovanni. Nessuno dovrà andare davanti al caposquadra o dietro il codasquadra. La media sarà di sei chilometri l’ora. Sono previste due soste: a Montecompatri e a Frascati. Tutto chiaro?»
Un “Si” corale, urlato da tutti.
«Bene! Allora, Maestro Tifi, a lei l’onore di dare il via!»
La bandiera sventolò, e tutti cominciarono a mettersi in marcia.
Per Giulio Aureli quel 31 marzo 1901 doveva essere il giorno più bello della sua vita. Si era allenato tanto, rubando il tempo al negozio di oreficeria del padre a Corso Umberto, con cui aveva dovuto litigare più di una volta. Ma a ventuno anni, le passioni si seguono, anche a costo di qualche screzio familiare. E poi, il capo squadra della “Juventus et Vigor”, il suo circolo, era Augusto Gualdi. Il suo più caro amico, il suo mentore. Le prime ore passarono tranquille, e videro l’alba affacciarsi dai monti dietro il paese di Poli.
A un certo punto, però a Giulio sembrò che il percorso non fosse quello concordato. Avrebbero dovuto vedere San Cesareo, per poi girare a sinistra verso Montecompatri, ma del paese ancora non c’era traccia.
«Augù, me sa ch’amo sbajato strada»
«Zitto e marcia, Giù, La strada la devo seguì io dietro a Bigiarelli. Sparambia er fiato»
«Sarà»
E alla fine, il paese lo videro.
«Ma era Zagarolo, Delegato. Parecchio più a est di dove dovevamo stare. Avevo ragione io nel dire che avevamo sbagliato, e così la prima ora di pausa la facemmo lì. Il Direttore Bigiarelli ci disse che a causa di quell’inconveniente, i chilometri di corsa sarebbero stato cinque di più, e che quindi avrebbe concesso un’altra mezz’ora per terminare: incluse le soste quindi, da quattordici ore e mezzo a quindici ore: il nuovo tempo limite era fissato alle 4 del pomeriggio.»
«Mi scusi, Aureli, ma chi se ne importa? Stiamo parlando del suo duplice omicidio a Roma, a Zagarolo lei non ha fatto nulla. Se ha pagato quattro lire per la corsa, la prossima volta starà più attento! Lo sa che sono quattro giorni di paga di un carpentiere?»
« Io quei soldi me li posso permettere. Non sono un carpentiere, figuramoci! Ed è importante quello che sto dicendo. Perché fu durante quella prima ora di pausa che Augusto Gualdi mi disse che si era fatto male e che doveva rinunciare.»
«Augusto Gualdi? Una delle due vittime?»
«Si, il mio “amico del cuore”! Mi disse che mi nominava caposquadra al posto suo e che mi avrebbe atteso alle 16 all’arrivo! Quanto mi sentivo contento… ed era solo dodici ore fa!»
Per Giulio, la rinuncia di Augusto fu un dispiacere e un motivo di orgoglio al tempo stesso. Dispiacere, perché il suo più caro amico doveva rinunciare; orgoglio perché aveva ricevuto la nomina di caposquadra, ed era lui che adesso doveva governare il passo della squadra. Avrebbe preso il diploma di Audax anche per l’amico. Era determinatissimo. Quando si rimisero in marcia, riuscì a gestire il ritmo così bene che già a Frascati, per la seconda ora di pausa, avevano recuperato il tempo perduto per aver fatto cinque chilometri in più, e riuscirono alla fine ad arrivare sull’Appia con ben 45 minuti di anticipo. Quando Giulio vide Porta San Giovanni all’orizzonte, il cuore si riempì d’orgoglio: ce l’aveva fatta. Passò sotto la porta che già pregustava il suo trionfo. Ecco lì Augusto, che lo aspettava. Ecco lì la sua amata Domizia vicino ad Augusto…. Troppo vicina, veramente: erano abbracciati e si stavano baciando. Per un attimo, credette che la stanchezza gli stesse dando delle allucinazioni…
«E allora, Delegato, mi fu tutto chiaro: l’incidente finto, la strada sbagliata apposta, e la convinzione che sarei arrivato almeno un’ora dopo, visto che Augusto pensava che come podista fossi una pippa. Non ci ho visto più dalla rabbia: ho preso il distintivo dell’Audax, che era appuntito, e ho tagliato il collo a lui e a quella mignotta. Ho finito.»
Il Delegato Conti si stropicciò gli occhi. Era sera tardi, ormai, e cominciava ad avere sonno. Un senso di disperazione si impossessò di lui. Le amicizie dell’imputato potevano farlo scarcerare, invocando il delitto d’onore. Eppure, a lui questa cosa non piaceva. Aureli non si era pentito del gesto, e pensava fosse naturale che le corna portate potessero essere tolte solo con un omicidio. Era anche convinto della sua impunità. Fosse stato un popolano, il tipo sarebbe stato già sbattuto alle carceri nuove di Regina Coeli. Quel borioso giovanotto sembrava invece sicuro del fatto suo. Contenne a fatica un moto di rabbia.
«Quindi per lei il delitto è giustificato, questo mi sta dicendo?»
«Certo! Delitto d’onore. Quindi, adesso la saluto.»
«Firmi il verbale, allora».
Per il delegato Conti, padre di Domizia, la seconda vittima, il ventesimo secolo si apriva proprio male.