Le non cose, di Byung-Chul Han – Einaudi – 2022 – €13,50

 

È un libro che mi ha trovato in disaccordo, certe volte moderato, altre volte totale. Eppure, merita quattro stelle su cinque, quasi il massimo.

Il perché è presto detto. Anzitutto è un libro ben scritto e chiaro, nonostante l’argomento non sia tra i più banali, e i riferimenti filosofici e culturali che si fanno sono altissimi.

Poi, anche se le tesi che l’autore espone (andiamo verso un mondo de-oggettivizzato, dove le informazioni diventano più importanti delle cose, e così facendo perdiamo di vista un pezzo importante di noi stessi, tanto da trasformarci in altro) non sono di mio gradimento, sono comunque “ragionevoli”. Spingono a pensare per elaborare la risposta, a valutare se dal ragionamento che fa, e che a prima vista può sembrare assurdo, sia possibile salvare qualcosa (se non altro la lentezza espositiva, che in questo caso significa chiarezza). Insomma, è un libro che anche se non sposabile del tutto, aiuta comunque a crescere. L’invito che faccio è di leggere un capitolo (il libro non è lungo e i vari capitoli sono abbastanza frazionati: è una cosa fattibile in mezz’ora) e poi fermarsi e provare a schematizzare la tesi e le eventuali vostre antitesi su un foglio di quaderno.

Partire da lì, e avrete più chiaro in testa un aspetto della realtà di oggi.

La stella in meno, quindi, non è per le tesi dell’autore, ma semplicemente perché, come tanti pensatori del suo “filone intellettuale”, è portato a valutare il mondo di oggi con le lenti del passato, rimpiangendo cose che non esistono più e confrontandole con ciò che invece c’è. L’esempio classico è quello della bellezza del libro rispetto all’ebook: quando le cose sono tattili, dice, c’è cultura vera, c’è crescita, c’è sensazione; e non solo informazione. Ma l’informazione – storicamente – nasce senza supporto oggettivo, solo come comunicazione verbale tra un essere e un altro. La sua protesta, quindi, pur se ben articolata, ricorda quella del dio Teuth (mi sembra si chiamasse così) che regalando la scrittura agli uomini si beccò il rimprovero del Faraone che si lamentava di come la memoria si sarebbe persa.

Non è un caso che uno dei capitoli più controversi sia quello del selfie: il paragone tra la foto come oggetto e il selfie: chi tramanda meglio il ricordo, cosa rimane della persona ritratta… Ho pensato alle critiche a Daguerre e agli altri nel XIX secolo: la fissità della chimica contro la mano artistica del ritratto, l’innaturalità della posa statica contro la possibilità infinita del movimento plastico nella pittura; il bianco e nero innaturale contro i colori vividi scelti dal pittore: il quadro è cultura, mentre la fotografia diventa solo “informazione”. Poi, dopo 150 anni e più, forse qualcosa è cambiato, o no?

Insomma, alla fine, Han casca nel tranello tipico di chi confonde la tecnologia con l’utilizzo che di essa si fa. La tecnologia, ricordo, è qualsiasi mezzo l’uomo inventa per migliorare la sua vita; in genere è un’applicazione della ricerca sul mondo fatta per pura curiosità (la scienza pura che si trasforma in scienza applicata). Il nuovo utilizzo della tecnologia scombussola sempre, all’inizio, per tanti motivi: l’oggetto come status symbol, l’opportunità di una nuova fruizione di contenuti, il cambio radicale di paradigma di esperienze e comunicazione. Ma non per questo, il mondo finisce.

Faccio un esempio più sociale: nessuno mette in dubbio che le casse automatiche dei supermercati o dell’Ikea siano comode, utili e facciamo perdere meno tempo. Ma quando le utilizziamo, sappiamo che stiamo togliendo il posto di lavoro a una cassiera o un cassiere? E che quel lavoro in meno non verrà recuperato? Stiamo favorendo forse la precarizzazione e la disoccupazione? Ma se invece riflettessimo sul fatto che quella “macchina” ha dato lavoro, perché c’è chi l’ha progettata, chi la deve manutenere, e magari anche il commesso può fare attività a maggior valore nel supermercato? Certo, ci vorrebbe una comunità che governi questi cambiamenti e non li lasci in pasto al naturale egoismo dell’uomo; ossia uno stato che sia un buon arbitro. Ecco, magari è questa la “non-cosa” vera su cui Han potrebbe arrabbiarsi. Il non-stato…

Voto 4/5