Gli articoli parlavano di tre risultati sperimentali ottenuti con strumenti sempre più sofisticati (e che quindi non potevano essere colti solo un secolo prima, a esempio), inquadrandoli ognuno in una teoria coerente. Con Einstein, il metodo scientifico ha il suo maggior trionfo. Vediamo nel dettaglio i tre articoli:

  1. Nel primo analizza con tecniche statistiche raffinate (consentendo così di meglio sistematizzare l’errore sperimentale ed avere misure più precise) il moto cosiddetto “browniano”, ossia il moto di un corpuscolo all’interno di un liquido, dimostrando che questo è dovuto all’interazione del minuscolo oggetto con atomi e molecole; è la conferma dell’esistenza degli atomi. La cosa, infatti, nel 1905 non era ancora assodata, visto che gli atomi non si “vedevano”.
  2. Prende poi in esame della meccanica quantistica, dimostrando che la legge di Planck spiegava benissimo anche un altro effetto poco spiegabile con la fisica “classica”, ossia quello fotoelettrico. Non è vero, quindi, che Einstein rifiutava la meccanica quantistica: ne era stato addirittura uno dei pionieri: la frase “Dio non gioca a dadi” che lui pronunciò era riservata all’indeterminazione che questa portò quando venne sistematizzata, circa 25 anni dopo, e per motivi più che comprensibili – la legge causa effetto SEMBRAVA essere violata. Vedremo poi come esperimenti chiari dimostrassero come in questo caso Einstein avesse torto.
  3. Ultimo ma non per ultimo, arrivò l’articolo che assiomatizzava la costanza della velocità della luce indipendentemente dal sistema di riferimento. Ossia, sia sul treno a 200 chilometri l’ora, sia in stazione la luce aveva la stessa velocità. Oltre, quindi, a confermare le equazioni di Lorentz (lui ha affermato di non averle lette mai prima, io qualche dubbio ce l’ho) c’era un sistema molto chiaro adesso per vedere chi avesse ragione: L’esperimento che ho descritto nel primo capitolo di questa storia della fisica. Se per newton la velocità di chi correva sul treno doveva essere di 220 chilometri l’ora, per Einstein doveva essere di (faccio un esempio semplificativo) di 219,999999999999. Ormai gli strumenti erano in grado di cogliere questa differenza, e si scoprì che Einstein aveva ragione.

 

La relatività di Galileo e Newton era da buttare, quindi? Neanche per idea! Alle nostre esperienze quotidiane, quella micro differenza è insignificante, e possiamo tranquillamente vivere bene con la meccanica di Newton (del resto, i pianeti girano allegramente da milioni di anni seguendo quella legge elaborata 250 anni fa). È in condizioni estreme (ossia per velocità vicine a quelle della luce) che gli effetti della relatività di Einstein diventano visibili. Per capirci, questa è di 300.000 Km/s, ossia fare il giro dell’equatore sette volte e mezzo IN UN SECONDO, cosa che è evidentemente poco sperimentabile da esseri umani.

 

L’effetto più “impressionante”, comunque della relatività di Einstein, che completò poi nel 1915 con la teoria della Relatività generale, che aggiungeva anche lo studio e la schematizzazione dei moti accelerati non fu tanto quello di sostituire formule matematiche che descrivevano un moto ad altre, applicabili solamente in casi particolari oltretutto, quanto quello di dimostrare che lo spazio ed il tempo non erano due entità distinte ed assolute, ma un unico “frame” entro il quale l’universo da noi percepito si muoveva. Aveva poco senso, quindi, parlare di “punto dello spazio” o di “istante del tempo”; si doveva parlare di “evento nello spazio-tempo” (qui l’eterna diatriba tra l’essere Parmenideo ed il divenire di Eraclito ne ha da dire! Peccato che le conclusioni alle quali giunge la filosofia siano, senza l’aiuto della fisica, indimostrabili).

 

La velocità della luce, essendo una costante universale (ossia essendo la stessa in qualsiasi evento dello spazio-tempo; in poche parole, la luce viaggia alla stessa velocità sia sul famoso treno in corsa sia se si è fermi nella stazione, al contrario del signore che cammina) viene definita “orizzonte degli eventi”, ossia il limite oltre il quale non si è più in grado di trasmettere o ricevere informazioni. Il concetto è difficile da comprendere per la nostra esperienza, proverò quindi a farlo con un esempio: se la velocità della luce fosse di 100 chilometri all’ora, ed io mi allontanassi a 200 chilometri l’ora da un punto, non potrei mare avere informazioni da quel punto, in quanto la luce (che ricordiamo essere la trasmissione tramite radiazione di una forza, quella elettromagnetica) non mi raggiungerebbe mai… rimarrebbe fuori dal mio “orizzonte spazio-temporale degli eventi”, detto in maniera difficile.

 

La teoria di Einstein afferma che un evento macroscopico del genere è comunque impossibile: alla velocità della luce si possono muovere soltanto oggetti privi di massa – la radiazione elettromagnetica, appunto, o meglio quei “quanti” di luce che lui stesso aveva contribuito a “svelare”. Ecco, dunque, un’altra falsità svelata: non è vero che per la teoria di Einstein NULLA può andare oltre la velocità della luce: è vero che non possiamo mai avere informazioni da tali “cose” che vanno oltre la velocità della luce, perché sarebbe fuori dal nostro “orizzonte degli eventi”. In particolar modo, tali “cose” potrebbero andare SOLO a velocità maggiori di quella della luce (i famosi “tachioni” che forse qualcuno ha sentito nominare) ed avrebbero massa negativa (qualsiasi cosa questa frase voglia dire…).

 

È ovvio che questa è solo matematica, nel senso che oggetti del genere non sono mai stati scoperti, né si ha un’idea di come scoprirli, almeno fino ad oggi. Prima di passare all’altro grande sviluppo dei primi anni del XX secolo, però è utile dire un’ultima cosa su Einstein: l’equivalenza “di natura” tra spazio e tempo (matematicamente si riesce anche a rappresentare che lo spazio è tridimensionale ed è reversibile, ossia si può andare avanti ed indietro, mentre il tempo è unidimensionale e non reversibile, ossia si può andare solo avanti) implica l’equivalenza naturale tra massa ed Energia (con la massa nel ruolo del tempo, non esiste massa negativa…) da cui la più famosa equazione del mondo: E=mc², dove c è proprio la velocità della luce.

 

(3 – Continua)