Il primo 45 giri del 1967 era un altro con due lati A, e probabilmente il miglior 45 giri in assoluto della storia; sicuramente lo era fino a quel momento.
La collaborazione tra John e Paul era diventata prima confronto, e poi competizione. Ma continuava a produrre capolavori. Il terreno su cui i due si scontrano, stavolta, è quello dei ricordi d’infanzia. Ne escono fuori due opere d’arte: “Strawberry Fields Forever” da parte di John, e “Penny Lane” da parte di Paul.
La prima si ispira a un orfanotrofio dietro il quale c’è un giardino dove Lennon andava a giocare da piccolo.
“Penny Lane”, invece, è il nome di una via di Liverpool.
“Strawberry Fields Forever” è il perfetto esempio di un tipico testo di Lennon, filosofico, criptico e nostalgico, e musicalmente unisce tradizione (grazie al l’orchestra) e psichedelica. Aveva appena conosciuto Yoko, John, e stava per uscire dal bozzolo di introspezione nel quale era pian piano finito. (“No one I think is in my tree”). La canzone dura oltretutto più di quattro minuti: per l’epoca, un’eternità.
“Penny Lane”, d’altro canto, rappresenta un tipico testo di Paul, tranquillo ed ottimista anche se ugualmente nostalgico e richiamante il passato. Musicalmente, unisce anch’esso tradizione (i fiati) ed innovazione.
Le due canzoni sono la perfetta unione tra passato, presente e futuro, tra tranquillità e nostalgia, tra l’amore per i luoghi del passato ed il guardare verso il futuro chiedendosi cosa succederà.
Ironia della sorte, essendo un doppio lato A non finì al numero uno, perché vennero contate separatamente le vendite dei due pezzi e il disco, che aveva quasi raddoppiato le vendite del numero uno “dichiarato”, rimarrà secondo.
Poco male, comunque, il 33 giri avrebbe segnato una svolta ancora più profonda di Revolver nella musica. Con “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band” il gruppo entra in uno stato di grazia, dove John e Paul entrano in una fase di collaborazione unica, dove ogni canzone è perfetta e sta esattamente dove deve stare; prodotta nella maniera perfetta e suonata in modo sublime.
Si racconta che Jimi Hendrix lo ascoltò per dodici ore filate.
Questo strano titolo è un sarcastico richiamo degli scarafaggi agli improbabili e chilometrici nomi dei gruppi dell’East Coast degli Stati Uniti. All’inizio del 1967, Paul aveva dichiarato pubblicamente la fine dei concerti dei Beatles. E si celebrò la cosa facendo un disco che era un concerto in piena regola, tenuto da un gruppo di bontemponi con un buffo nome. Idea magnifica, Sgt. Pepper, una traslitterazione, secondo il road manager Mal Evans, dell’idea che lui e Paul ebbero in aereo vedendo la bustina del sale e pepe: “Salt and Pepper”… Vediamo tutte le canzoni:
Per la prima traccia, uguale al titolo del disco, occorsero dieci versioni. E’ la simpatica presentazione del gruppo, ma musicalmente è una meraviglia, grazie alla voce di Paul, gli altri a suonare e l’orchestra. Si chiude introducendo Billy Shears
Che altri non è che Ringo, con la magnifica “With a Little Help from my friend”, forse la migliore canzone del batterista con i Beatles, incluse quelle che poi comporrà lui stesso. Il mood negativo di John farà capolino ogni tanto: osta di Lennon:
– What do you think when you turn out the light?
– I can’t tell you but I know it’s mine
Un etereo giro d’organo ci trasporta dentro “Lucy in the Sky with Diamonds” Le inutili polemiche sul titolo, che sarebbe un acronimo di LSD, non ha impedito al brano di diventare uno dei pezzi più celebrati di Lennon. Il figlio di John, Julian, fece vedere al padre un disegno con Lucy – forse la sua fidanzatina – in un cielo con le stelline, quelle stelline che anche noi disegnavamo da bambini. Di sicuro la canzone non fu ispirata dalla droga, come lui stesso disse, in modo molto sincero in tante interviste: “Giuro su Dio, Gesù, Budda e Maometto che “Lucy in the Sky with Diamonds” non è stata scritta sotto acido”. “Lucy in the Sky with Diamonds” va presa per quel che è: una meravigliosa canzone.
“Getting Better” è la visione ottimistica di Paul del mondo. Pezzo eccezionale, che in un contesto del genere diventa quasi un riempitivo.
“Fixing a Hole” parte da Getting Better per diventare più intimista. Bella canzone di Paul, secondo pezzo di tre di fila, tutti suoi. Sgt. Pepper è un punto di svolta anche da questo punto di vista.
“She’s Leaving Home” è una delle migliori canzoni mai scritte dai Beatles. All’arpa introduttiva si unisce il violino che accompagna bene le parte drammatiche del testo che racconta la storia di una ragazza che scappando di casa, distrugge moralmente i genitori che nella canzone discutono: con Paul che narra e John che da voce agli errori dei genitore che rimpiangono le loro scelte.
“Being for the Benefit of Mr. Kite” è il brano psichedelico del disco, così interpretato anche nel film “Across the Universe”. Nato da un manifesto trovato casualmente da John, a un certo punto esplode in un mix casuale di nastri tagliati, rimontati in modo casuale e rovesciati. Mantenendo una coerenza invidiabile.
Il lato B si apre con il pezzo di George, con la musica indiana di “Within You, Without You”. Una conversazione tra amici diventata riflessione cosmica degna di un testo Taoista.
Altro capolavoro: “When I’m sixty-four”. Composta da Paul, forse, prima ancora di conoscere John (1957), veniva usata in sin dai tempi del Cavern. Il brano è un magnifico vaudeville, dove tra un uomo parla alla sua donna del loro futuro insieme da persone anziane. I clarinetti e i cori di John. Canzone che purtroppo, due di loro non hanno potuto avere come regali di compleanno. Da questo momento, Paul accentuerà la sua propensione per il Vaudeville, che Lennon però, non apprezzava.
“Lovely Rita” parte con un convenzionale giro di chitarra a cui si unisce l’estatico “Ah..” di Lennon, a rappresentare quello a cui l’autore vuole andare a parare: “come to take a “tea” with me” – “Tea” in slang significa “spinello”. Prima l’erba, poi “Sitting on a sofa with a sister or two”. I Beatles in questo inoffensivo riempitivo riescono a dire tutto quello che era nella loro testa nel 67: sesso e droga. Memorabile l’assolo di pianoforte e memorabili i suoni “grattati” che si sentono a 0:40 e a 1:35 che furono ottenuti prendendo un pettine e strofinandolo da qualche parte. Bellissimi, ancora una volta, i cori di Lennon, che verso la fine si abbandona ai gemiti sessuali fino al gemito dell’orgasmo raggiunto. Ecco a voi “l’innocente canzonetta” di quel “bravo ragazzo” di Paul.
“Good Morning Good Morning” un brano dove la crisi di Lennon, a dispetto del tono allegro della musica, esplode in tutta la sua crudezza. Prende in giro la sua vita familiare. Meravigliosa, e pensare che per John lui ha scritto – come del resto è vero – molto di meglio.
La ripresa della title track chiude il concerto. Qui cantano tutti e quattro, in attesa del bis, che è forse la più bella canzone dei “fantastici quattro”.
La chitarra acustica apre il capolavoro. Una specie di solenne rispetto entra nell’ascoltatore. Il pianoforte acuisce ancora di più la solennità. La voce di Lennon nella prima strofa è ancora normale, quasi commossa per la morte (reale) di un caro amico di appena venti anni (Tara Browne), “ma anche se la notizia era piuttosto triste, non ho potuto fare a meno di ridere” – antifona perfetta del tema della canzone: l’erba. La seconda strofa è melodicamente identica, con un riferimento alla partecipazione di Lennon al film “How I Won the War”, ma nei fatti un nonsense. John, che ha servito Paul fino a quel momento, si riprende la scena dei Beatles e lo fa da par suo: affermando chi – dei due – è il creativo. Un assordante crescendo orchestrale fa inserire la parte di Paul (sembra una canzone giustapposta, ma – forse per l’ultima volta – i due hanno lavorato assieme. E si vede). Racconta una normale mattinata che scompare nel “fumo”. Infine, il pezzo da maestro: una notizia assurda sulla quale ironizzare con una frase finale che John lavorò tantissimo per trovare (altro che droghe e acidi: i quattro lavoravano, come aveva detto il Ringo di revolver) Infine, un nuovo crescendo orchestrale che termina con un accordo suonato all’unisono da tre piani a coda, tenendo il volume altissimo per registrare fino all’ultima vibrazione. E poi, il capolavoro: l’endless loop che non faceva terminare il disco tenendo la puntina sugli ultimi due “giri” che ripetono una frase quasi inintelligibile. Una trovata “meccanica” che fa capire quanto i Beatles avessero ormai attenzione su tutti i loro prodotti, cercando cose nuove in continuazione.
Da notare anche la durata: cinque minuti e 38 secondi. Una suite, per l’epoca. Tanto che i brani nel lato B sono solo sei, se contiamo che anche la canzone di George supera i cinque minuti.
Anche la copertina di questo “quasi” concept album è meravigliosa: una celebre foto dei Beatles con il loro pubblico preferito, le persone che i Fab Four stimavano di più e che avrebbero voluto riunire ai piedi di un palco o intorno a un tavolo per parlare e discutere.
Il mistero di Sgt Pepper’s si trova in mezzo ai personaggi, sopra gli oggetti, dentro i messaggi subliminali di questa copertina che, insieme a quella di Abbey Road, rendono la storia dei Beatles simile alla trama di un film.
Il gruppo veste i panni di una band di ottoni in epoca vittoriana
Uno spettacolo di quattro persone davanti a un pubblico molto speciale, quattro musicisti molto famosi che proprio nel 1967 fingono di essere altre persone.
Un radicale cambiamento compiuto dai Beatles in pochissimi mesi, mettendo fine alle tournèe e lasciando crescere baffi e barba.
La cover costa 2.867 dollari, cifra dieci volte superiore a una copertina di quegli anni, ed è un trionfo di prime volte.
Per la prima volta si apriva a libro e nel retro erano stampati i testi delle canzoni. Per la prima volta in una pagina erano inclusi gadget per i fans. Per la prima volta ci si trova davanti a un mistero di interpretazione e significato.
A tratti indecifrabile, Sgt Pepper’s è un puzzle di messaggi subliminali studiati e analizzati da chi sostiene che Paul McCartney sia morto davvero, nonostante il 1967 non sia il vero inizio della leggenda P.I.D (Paul Is Dead).
Secondo tale teoria tra i componenti dei Beatles in questa cover c’è l’attore scozzese William Stuart Campbell, sosia di Paul McCartney. Per altri è l’agente di polizia William Sheppard.
In ogni caso il vero McCartney era morto la mattina del 9 novembre 1966 in un incidente stradale a bordo della sua Aston Martin, e da questo fatto iniziano le stranezze.
L’anno prima c’era stato un concorso pubblico per trovare un sosia a McCartney. Il concorso non avrà un vincitore, almeno non ufficialmente.
Il concorso è un fatto reale e potrebbe avere mille motivazioni, ma per i sostenitori della teoria P.I.D. il gruppo aveva bisogno del nuovo Beatle perché il vero Paul era scomparso. Il sosia allora era proprio il vincitore di quel concorso.
Nella copertina, i protagonisti si confondono nel gruppo pur essendo in primo piano. La traccia subliminale sembra essere McCartney che fa sempre qualcosa di diverso dagli altri.
La posizione di John Lennon, Ringo Starr e George Harrison è leggermente di lato; McCartney è l’unico perfettamente frontale, l’unica figura piatta.
Il bassista è l’unico con un corno inglese nero, i compagni hanno in mano degli ottoni.
Sopra la testa di Paul spunta una mano, simbolo di morte per alcune culture asiatiche.
Accanto a loro, le statue di cera dei quattro Beatles giovani simboleggia il passaggio di consegne tra i Beatles giovani e quelli maturi. Un giovane e abbattuto Ringo Starr consola Paul McCartney con una mano sulla spalla.
I giovani Beatles guardano in basso, verso una sorta di tomba con tanto di terra e i fiori.
La composizione floreale gialla in basso a destra ha la vaga forma di una chitarra o un basso. Magari un Hofner, il basso usato da Paul McCartney? Può essere.
Del resto lo strumento che vediamo in questa immagine ha la tastiera rivolta a destra, come lo suona un mancino come lui. Inoltre ha solo tre corde, mentre il basso solitamente ne ha quattro. La quarta corda è sparita.
I fiori rossi formano la scritta “Beatles”, con una piccola “O” a comporre “BEATLESO”, secondo la leggenda un indizio sul Lesotho, luogo in cui si troverebbe il corpo del vero Paul McCartney. Ma è subliminale, l’occhio percepisce ma non capisce, come la piccola televisione spenta che sarebbe il silenzio nei confronti dei media su una notizia che non doveva circolare.
Nella back cover, tre membri del gruppo sono di fronte tranne McCartney che è l’unico girato di spalle e molto più alto degli altri.
Perché mai raffigurarlo di schiena? Perché è così alto rispetto agli altri?
Chi crede nella leggenda sostiene che Campbell fosse effettivamente più alto del vero McCartney. Quanto al fatto di essere girato di spalle, come è noto significa avere un segreto, qualcosa di indecifrabile.
Qualche cosa difficile da comprendere, tipo come riuscirebbe un sosia a cantare nello stesso modo di Paul McCartney e a suonare il basso da mancino, senza esserlo?
A questa domanda nessun teorico del complotto ha risposto. Forse il sosia era un fenomeno oppure è fantascienza.
Wednesday morning at five o’clock as the day begins… (She’s Leaving home)
C’è un modellino di Aston Martin uguale a quello di McCartney su una delle gambe della bambola con la scritta Welcome The Rolling Stones. La bambola siede su un pupazzo con un guanto da automobilista rovinato.
Un benvenuto agli Stones che in quel periodo iniziavano a scalare le classifiche (c’era stima tra i due gruppi) e il secondo passaggio di consegne dopo le statue di cera dei giovani Beatles.
La grancassa centrale, forse è il maggiore mistero di questa cover, non è l’elemento che risalta di più solo perché contiene il titolo dell’album. È stato l’unico singolo dettaglio di questa copertina realizzato da un artista esterno, tale Joe Ephgrave, un pittore di luna park.
Realizzare una copertina da quasi 3.000 dollari e far disegnare una semplice grancassa da uno sconosciuto. Scelta curiosa, bizzarra, singolare.
Cosa si sa di questo signore, se uno va alla ricerca? Nulla. Di questo artista non si sa niente, come un fantasma con un cognome fantasma se consideri che è formato dalle parole epitaph e grave, epitaffio e tomba.
I Beatles scelgono i personaggi da includere in Sgt Pepper’s Lonely Hearts Band per riunire il loro pubblico ideale. Le case discografiche rifiutano di includere alcune scelte troppo scomode, come Ghandi, Gesù Cristo e Hitler.
In un primo momento la EMI era contraria all’intero progetto di copertina, troppo costoso, difficile e con un campo minato di problemi giudiziari per i diritti d’immagine.
I Beatles avranno la meglio, assumendosi ogni responsabilità in caso di fallimento e assaporando il successo del progetto (con grande stupore della EMI) perché tutti accettano con entusiasmo di apparire nella foto, senza volere il pagamento del copyright.
Solo l’attore Leo Gorcey chiede un compenso di 500 dollari e per questo sarà escluso. Mae West rifiuta di entrare a far parte di un club di cuori solitari, allora i Beatles la convincono con una lettera firmata in cui si dimostrano suoi grandi ammiratori.
Tutti sono piccoli o grandi idoli del gruppo, dentro e fuori il mondo musicale.
It’s wonderful to be here
It’s certainly a thrill
You’re such a lovely audience
We’d like to take you home with us
We’d love to take you home
Ci sono amici personali, inconfondibili icone dello spettacolo e della musica, soggetti strambi e qualcuno oscuro. Ovviamente.
Scelti dai Beatles, uno dopo l’altro
Mostri sacri come Stan Laurel, Marlon Brando e Marylin Monroe.
Celebrità come Bob Dylan, Albert Einstein, Fred Astaire e Carl Marx.
Il fanciullo Bobby Breen, famoso per le sue parti da attore bambino negli anni Trenta.
Shirley Temple compare da adulta e da bambina, sotto forma di bambola.
Gli scrittori Edgar Allan Poe, George Bernard Shaw e Oscar Wilde.
Stuart Sutcliffe, primo bassista dei Beatles e amico personale di John Lennon.
In questa copertina piena di stranezze non mancano personaggi inconsueti e sconosciuti, come i due guru indiani Sri Yukteswar e Lahiri Mahasaya.
C’è il famoso Lawrence d’Arabia, tenente colonnello, agente segreto e archeologo, protagonista della Rivolta Araba a inizio novecento. (Sì, anche il mondo islamico e asiatico torna e ritorna nella copertina di Sgt Pepper’s).
Beh, poi c’è Aleister Crowley, la figura più oscura e inquietante della copertina. Noto esoterista, astrologo, scrittore, alpinista. Un nome, un programma.
Crowley è considerato il principale fondatore del moderno occultismo e ispiratore del satanismo. Le sue teorie e la sua vita hanno portato a influenzare parte del rock anni 60 e 70 in particolare i Led Zeppelin, ma soprattutto il suo “discepolo” Jimmy Page.
Ecco, per esempio, fino a che punto ha influenzato la copertina di Led Zeppelin IV.
Il concerto di Sgt Pepper’s ha occupato tutti i 66 posti a sedere (questo il numero di personaggi) ma la lista di oggetti in quest’opera d’arte non finisce qui.
Accanto alla televisione, un candeliere messicano conosciuto con il nome di Albero della Vita di Metepec, una statua che John Lennon teneva in casa e altre due statue di pietra.
Sotto la grancassa c’è una statua in pietra della divinità indiana a quattro braccia Lakshmi, un’altra figura giapponese in pietra è accanto alla tuba.
Vediamo una statuetta di Biancaneve, un nano da giardino e un serpente di pezza. Un narghilè, sempre vicino alla tuba.
La copertina di Sgt Pepper’s per certi versi può sembrare un insieme confuso di oggetti, come un bazar. In realtà niente è messo lì a caso, e tutto sembra la trama di un copione in cui gli unici a conoscere le battute sono proprio i Beatles.
Loro sapevano le che la pianta, sulla destra della cover, è eucalipto. I fans pensavano fosse marijuana sfuggita al controllo della EMI.
Questo non è solo l’apice della carriera dei Beatles, ma uno dei vertici di tutta la musica. Un disco senza paragoni per concezione, sonorità, testi, tecnologia di studio e grafica di copertina.
E siamo solo nel 1967 Da allora, tutti hanno parlato di questo disco.
Ironia della sorte, dopo pochi mesi morirà – veramente – Brian Epstein, il loro manager, mentore e un’infinità di altre cose. E’ da quel momento che per i Beatles nulla sarà come prima