Il fatto di avere avuto il successo che avevano avuto consentì ai quattro di poter curare di più la loro parte artistica, non essendo vincolati più ai ritmi ossessivi Live/45giri/LP senza un attimo di pausa.
La fine del 1965, quindi, vide il gruppo lavorare su musica di maggior qualità, e di provare nuove soluzioni non solo sonore, ma anche tecniche. Il dualismo tra John e Paul era ormai conclamato, ma era una sfida che spinngeva i due a dare sempre di più. Una prova è proprio il 45 giri che uscì nel tardo 1965 e che per la prima volta conteneva due lati A: Day Tripper e We can Work it Out. Due canzoni stupende, frutto di un lavoro in team su idee venute però singolarmente: Day Tripper a John e We can Work it Out a Paul. E dai testi questo è evidente: se “Day Tripper” è – neanche troppo velatamente – la storia di un rapporto sessuale occasionale (e la presa in giro degli “hippes della domanica”), “We can Work it Out” è una delle tante canzoni del periodo dove Paul sfogava i suoi litigi con la fidanzata Jane Asher.
Ma è con “Rubber Soul”, l’album uscito nel dicembre del 1965, che in genere si indica la metamorfosi dei Beatles da boy band a fenomeno di qualità musicale. Chi scrive è d’accordo fino a un certo punto. L’album è un capolavoro, certo, ma è il punto naturale di arrivo del percorso che i quattro di Liverpool hanno fatto fino a quel momento. Non dimentichiamoci che prima di questo 33 giri, i fab four avevano già nel loro curriculum capolavori come Can’t Buy Me Love, Yesterday, She Loves You, I Feel Fine…
Per la prima volta, in “Rubber Soul”, i Beatles però raccoglievano tutto ciò che avevano seminato presentandolo in una maniera che fosse realmente loro, e non semplicemente ciò che il mercato si attendeva. Testi profondi finalmente sviscerati e non solo come espressioni istintive; strumentazione provata e migliorata, con l’aggiunta di esotismi (il sitar, che poi verrà usato sempre più spesso); e cura maggiore nella produzione. Si nota Paul che prende sempre più spazio, George e Ringo in piena fase di maturazione, e John in preda alle sue ricerche di qualcosa (ricerca che avrà una fine reale solo con l’avvento di Yoko Ono). La copertina, con i quattro lievemente distorti, sembra voler dire due cose: stiamo trasformandoci (ed era vero) e soprattutto che l’influenza delle droghe nelle loro composizioni non era secondaria.
Vediamo le canzoni:
“Drive My Car” è l’inizio in stile “I saw her standing there”, con un blues quasi rock. E’ una ragazza che prende l’iniziativa, e che fa innamorare un uomo solo con I suoi sogni..
Norwegian Wood, un capolavoro, vede il famoso Sitar comparire. E’ di John, con Paul che collabora solo inparte con l’inciso. E’ la storia di una relazione extraconiugale di Lennon, oltretutto probabilmente con la moglie del fotografo dei loro album….
“Nowhere Man” è la canzone del Lennon più depresso e spaesato, alle prese con un matrimonio ed una paternità infelici, ricolmi di sensi di colpa. E’ la prima volta che non si parla di amore o di ragazze.
“Think For Yourself” e “If I Needed Someone” (sul lato B) sono i due contributi di George Harrison. Anche lui in netto sviluppo.
“The Word” è assai “nera”. Ma è una canzone per la prima volta cosmica: “the word” (“Amore”, nel caso specifico) come la parola salvifica che tutto pulisce.
“Michelle” ha tutt’altro tipo di fascino e bellezza, più algida, ricercata, distante, didascalica, specchio del carattere di McCartney, più superficiale e solare rispetto al collega. Siamo in ogni caso nell’empireo della creatività di Paul. Anche l’esecuzione del brano è tutta sua, un po’ come era successo sulla “Yesterday” del precedente album. E poi ci sono le due frasi in francese, che hanno garantito l’immortalità al brano.
“What Goes On” è il consueto pezzo dui Ringo, , qui accreditato anche come autore (è l’unico pezzo dei Beatles a firma tripla)
“Girl” è un altro capoplavoro di Lennon, che cerca la sua “girl” ideale (divenuta – come dirà lui stesso – “Woman” nel 1980). Questo ad onta della impudica “tirata di canna” (energica e lunga inspirazione, colle mani strette a pugno davanti alla bocca) che il beatle s’inventa appresso ad ogni invocazione del titolo del brano, nonché del coretto in falsetto “Tetta, tetta, tetta…” col quale viene accompagnato dagli altri due buontemponi cantanti del gruppo durante l’inciso risolto a tempo di marcetta. Le due facce di John, la persona malinconica e tormentata, ma al contempo ironica e trasgressiva, procedono perfettamente a braccetto in questa memorabile canzone.
“In My Life”, cantata principalmente da Lennon ma canzone composta da entrambi, è meravigliosamente introspettiva (precorre Strawberry Fields e Penny Lane) con un assolo quasi barocco di piano (in realtà fu velocizzato per la difficoltà tecnica) di George Martin.
Insomma, I Beatles, che erano famosi come band, cominciano ad essere riconoscibili come musicisti unici. Da qui in avanti, ogni loro composizione cambierà la storia della musica.