La tabella di marcia imposta dalla EMI ai Beatles era sfiancante, e da l’idea dello sfruttamento. Un penny per ogni vinile venduto (ossia un quarto di penny – un farthing, conio fuori corso dal 1960 – a testa), l’obbligo di pubblicare 4 45 giri e due 33 giri ogni anno, e un tour che li vedeva in giro per 2 giorni su tre. Il fatto che siano diventati ricchissimi, e senza impazzire, con questa tabella di marcia ha dello strepitoso.
Per la seconda parte del 1963 si trattava quindi di scrivere brani in fretta, di arrangiarli di corsa e di registrarli nelle pause tra un concerto e l’altro. Ma John e Paul – soprattutto – erano gravidi di rock, dovevano solo partorirlo. E allora eccoli li sul mezzo che li portava in giro per l’Inghilterra a provare un giro di chitarra o a sviluppare una melodia.
Il terzo 45 giri è composto di sue lati A. O meglio, From Me to You, il lato A, non era così smaccatamente preferito rispetto a Thank You Girl, il lato B. Entrambe le canzoni composte sul pullman del loro tour tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo del 1963, il disco fu registrato a marzo e pubblicato ad aprile. Una canzone di John e una di Paul. Ma con una forte collaborazione tra i due. Paul afferma che quanto sentì un lattaio fischiettare from me tou you pensò “E’ fatta. Siamo famosi”
Ma fu con il 45 giri successivo che scoppiò la vera beatlemania. E a ragione. “She Loves You” fu scritta ancora una volta durante un tour, dopo lo spettacolo del 26 giugno a Newcastle, e fu registrata il primo di luglio. La potenza e la sicurezza dell’esecuzione sono dunque ancora più notevoli se si considera il minimo intervallo di tempo intercorso tra composizione ed incisione. Canzone di entrambi, George Martin suggerì di mettere il ritornello all’inizio (She loves you, yeah, yeah, yeah: il “botto” iniziale). Il padre di Paul, un tipico esponente della working class, contestata lo “yeah yeah”: “E’ un americanismo – diceva – è cosi bello yes, yes”. Invece, quella musica prese il nome proprio da quel “verso”.
E pensare che I’ll get You (il lato B di quel 45 giri) era candidato (con il titolo “Get You in the End”) a essere il lato A. Ma la creazione di She Loves You rovesciò le gerarchie. Peccato, perché il pezzo è musicalmente più ricercato, con echi persino di Joan Baez.
I due brani furono registrati in un solo giorno, in due distinte sedute di tre ore l’una, ma se I’ll get You è stata fatta molto di fretta con imperfezioni lasciate anche nella versione (Take) finale che è stata incisa, She Loves You è stata decisamente più curata. Ringo lavora egregiamente di charleston, George mette lachitarra al servizio del pezzo riuscendo comunque a farsi notare, e soprattutto, assieme a Paul fa quegli “ooooh” acuti, scrollando i capelli, facendo impazzire le fan.
Il disco fu pubblicato il 23 agosto 1963: la leggenda, adesso, era completamente affermata.
Dopo i quattro 45 giri (tre dei quali avevano raggiunto il primo posto in classifica) era adesso tempo di pensare al secondo LP. “With The Beatles ricalca la struttura di Please Please Me quasi perfettamente: 14 brani, otto dei quali di produzione “interna”, e un inizio e fine “col botto”. Stavolta, la produzione del disco fu fatta con più cura, con diverse sedute di registrazione tra luglio e ottobre del 1963. Alcune canzoni sono un esempio di come in soli pochi mesi il gruppo avesse fatto passi da gigante, e avesse tutta l’intenzione di continuare a rivoluzionare la musica e il mondo:
It won’t be long, che doeva essere un singolo ha delle armonizzazioni ricercate e i giochi di parole di John (be long/belong).
All my loving è il pezzo più famoso, quello che per primo è quasi tutto opera di Paul. Soprattutto, diciassette anni dopo sarà una versione strumentale di tale canzone che andava in onda nella filodiffusione dell’ospedale dove John Lennon, appena ricoverato morì. Non appena finì il pezzo. E’ una canzone che in “Across the Universe”, il film musicale con le canzoni del quartetto, viene cantata come arrivederci (ma che in realtà sarà un addio)
Don’t bother me è Il primo pezzo firmato (e cantato) da George Harrison, che fino a quel momento si era limitato a cantare cover o pezzi più o meno gentilmente offerti da John e Paul. Non è gran che (nel canone beatlesiano, intendiamoci: da sola vale il successo di chiunque non sia i fab four), ma pensiamo che in sei anni si arriva a “Something”
Please Mister Postman. Altro pezzo preso da un gruppo femminile e cantato in maniera sublime da John. Uno dei miei preferiti.
Roll over Beethoven. George Harrison canta Chuck Berry. E fa un’ottima figura.
Hold me tight. Basta ascoltare la versione cantata nel film Across the universe (in due versioni: quella borghese dell’america bene e quella più hard della working class ingese) per cogliere la bellezza del pezzo.
I wanna be your man. Ringo stavolta canta una canzone di John e Paul, e non una cover. Ma il pezzo era stato scritto anche per i Rolling Stones. Inutile aggiungere altro.
Money (That’s what I want). Per chiudere il secondo album, George Martin pensò a un altro pezzo in stile Twist and shout. Ottimo risultato, ma non esplodeva più come “nuova” dopo il capolavoro di qualche mese prima.
Il disco si chiamerà With the Beatles. Ora c’era da decidere la copertina. Robert Freeman, il fotografo, da retta ai quattro ragazzi e non a Martin e a Epstein. I loro volti, illuminati per metà e con il caschetto che li ha resi – se possibile – ancora più famosi sembravano lugubri ai due manager, ma il talento artistico dei Beatles atava anche in queste scelte fuori dagli schemi.
E poi, era un tributo a due amici. Stu Sutcliffe era un amico di John, artista nato, e bassista del gruppo. Durante il loro periodo ad Amburgo conobbe Astrid Kirchher. Sarà lei a creare quella capigliatura nuova e a pensare a quel tipo di foto. Freeman si rifarà a quell’idea. Stu è morto, ucciso probabilmente da un aneurisma, nell’aprile del 1962. Il gruppo cominciò ad avere successo subito dopo. L’omaggio era dovuto.
Sul retro, la solita elegia agiografica di Tony Barrow.
With The Beatles esce il 22 novembre del 1963, il giorno dell’assassinio di Kennedy. I fab four continuavano a marcare la storia di quel fantastico decennio, stavolta in chiave tragica.