Matteotti aveva firmato la sua condanna a morte il 30 maggio 1924, pronunciando un formidabile discorso alla Camera contro la convalida degli eletti. Il coraggioso parlamentare ricordò infatti con serrata lucidità, senza lasciarsi intimidire dalle interruzioni fasciste, che quasi ovunque era stato impedito alle opposizioni di svolgere liberamente la campagna elettorale; che 60 candidati socialisti su 100 non avevano potuto circolare liberamente nei rispettivi collegi; che molti di essi erano stati costretti a cambiare residenza o a rinunciare alla candidatura per non subire boicottaggi nel lavoro, licenziamenti o per non dover emigrare all’estero; che in certi Comuni era stata fatta incetta di certificati elettorali, che in altri i rappresentanti di lista delle minoranze non erano stati ammessi a presenziare le votazioni e che nei piccoli centri di campagna i fascisti entravano nelle cabine per controllare l’elettore mentre votava; che i seggi elettorali erano stati affidati in consegna alla milizia fascista e che erano stati predisposti trucchi dalle autorità di governo, come il prefetto di Bologna, per falsare i risultati.
Ecco la testimonianza di Pietro Nenni, tratta dal suo libro «Sei anni di Guerra civile in Italia», che ricorda il momento più drammatico ed esaltante del discorso di Matteotti alla Camera.
Quando il Presidente dà la parola all’onorevole Matteotti, dagli scanni della destra partono le prime esclamazioni di odio. In piedi, calmo, sicuro di sé, Matteotti lascia che gli energumeni si sfoghino.
Ha da dire alla maggioranza della Camera alcune amare verità e le dirà.
Matteotti: «Noi abbiamo avuto da parte della Giunta delle Elezioni la proposta di convalidazione di numerosi collegi. Ci opponiamo a questa proposta perché, se nominalmente la maggioranza governativa ha ottenuto 4 milioni di voti, noi sappiamo che questo risultato è la conseguenza di una mostruosa violenza».
Dai loro banchi i fascisti mostrano i pugni all’oratore. Nell’emiciclo i più violenti cercano di slanciarsi contro Matteotti. Impassibile al suo banco, Mussolini, lo sguardo corrucciato, assiste alla scena senza fare un gesto, senza dire una parola.
Matteotti: «Per dichiarazione esplicita del capo del Fascismo, il Governo non considera la sua sorte legata al responso elettorale. Anche se messo in minoranza sarebbe rimasto al potere».
Starace: «Proprio così, abbiamo il potere e lo conserveremo».
Adesso tutta la Camera grida contemporaneamente. Una voce erompe: «Vi insegneremo a rispettarci a colpi di calcio di fucile nella schiena!».
Matteotti: «Per sostenere questi propositi del Governo, c’è una milizia armata, che non è al servizio dello Stato né al servizio del Paese, ma al servizio di un partito».
La destra sbatte i leggii. Per alcuni minuti l’oratore non riesce a farsi udire.
Matteotti: «Non rinuncerò alla parola se non quando avrò esposto interamente il mio pensiero».
A destra: «No, no! Basta! Cacciatelo dalla tribuna!».
Adesso l’oratore denuncia la lunga serie delle violenze. Poi continua: «Badate, il soffocamento della libertà conduce ad errori dei quali il popolo ha provato che sa guarire. La tirannia determina la morte della nazione. Voi volete rigettare il Paese indietro, verso l’assolutismo. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano, del quale salvaguarderemo la dignità domandando che si faccia luce sulle elezioni».
In piedi, la sinistra acclama Matteotti. A destra si grida: «Traditore! Venduto! Provocatore!».
«E adesso – dice sorridendo Matteotti ai suoi amici – potete preparare la mia orazione funebre».