Incombe sulla città di New York con le sue gotiche torri di pietra e gli imponenti cavi d’acciaio. È attraversato ogni giorno da 150mila tra automobili, autobus, motociclette e pedoni e solcato quasi ogni notte da un potenziale suicida che vuole porre fine alle sue sofferenze saltando nell’ East River. Sono circa 150 ogni anno, secondo la polizia di New York, i tentativi di suicidio dal Ponte di Brooklyn.
Il progetto era nato, con lo scopo di facilitare il trasporto di merci e persone tra Manhattan e la vicina cittadina di Brooklyn, oggi uno dei cinque distretti cittadini di NYC. Nell’inverno tra il 1866 e il 1867 infatti l’East River gelò per l’ennesima volta, lasciando la popolazione di Brooklyn isolata (quasi raddoppiata nei precedenti dieci anni) e nell’impossibilità di accedere a scuole, posti di lavoro e negozi con merci di prima necessità.
L’impresa era dunque necessaria, ma non per questo meno titanica.
Ben tre milioni di dollari dell’epoca vennero stanziati dalla New York Bridge Company, società nata apposta per finanziare la costruzione del ponte, e uno e mezzo dalla città di New York. Per la realizzazione pratica venne assunto John Roebling, un ingegnere immigrato dalla Germania, esperto nella costruzione di ponti sospesi. Questo tipo di ponte era l’unico che non avrebbe interferito con l’intenso traffico fluviale dell’epoca e che avrebbe resistito alle turbolenze dell’acqua. L’East River, a dispetto del suo nome, non è infatti un vero e proprio fiume, ma un estuario di acqua salata e in quanto tale sensibile agli effetti delle maree.
Roebling assunse con entusiasmo il comando del progetto e disegnò un ponte rivoluzionario per l’epoca: nessuno aveva mai osato ideare un ponte sospeso di 1800 metri di lunghezza e 84 di altezza, oppure optare per cavi d’acciaio come mezzo di sostegno al posto di cavi di ferro. L’ingegnere geniale però non vide mai non solo la fine ma neanche l’inizio della sua creatura poiché nell’estate del 1869, rimase vittima di un incidente: un traghetto in fase di attracco gli schiacciò e amputò un piede e non fu possibile per l’uomo evitare una letale infezione da tetano.
L’impresa passò nelle mani del figlio Washington, ma anch’egli non fu fortunato: a causa di un’embolia gassosa conseguente una visita nelle camere di scavo sottomarine (era necessario ancorare le torri di pietra al fondo del fiume) rimase paralizzato. Non fu la sola vittima di queste camere mortali: molti operai condivisero la sua sorte e diversi dei trenta che morirono durante la costruzione del ponte, persero la vita nei cosiddetti cassoni.
Nonostante la paralisi, Washington continuò a dirigere i lavori dalla sua casa di Manhattan, grazie all’aiuto della moglie, Emily Warren Roebling, che ogni giorno faceva la spola tra la loro abitazione e la riva del fiume per dare istruzioni, esaminare la situazione, riportare le novità all’infermo. Ci vollero 13 anni per completare il Brooklyn Bridge, 15 milioni di dollari (più del triplo della spesa prevista e approvata nel 1867) e 600 operai. Il risultato però lasciò senza fiato non solo gli Stati Uniti e ma anche l’Europa intera.
Il giorno dell’inaugurazione, il 24 maggio 1883, infatti, giunsero cronisti anche da oltre oceano per assistere all’apertura della nuova via per carrozze e pedoni. Alle prime erano assegnate quattro corsie, due in una direzione e due in quella opposta, mentre ai secondi era riservata la corsia centrale. Il pedaggio era di 5 cents, destinato in parte a ripagare l’investimento della New York Bridge Company, in parte alla manutenzione del ponte stesso. Per ben cento anni fu il ponte sospeso più lungo del mondo, poi nel 1903 fu superato dal vicino Williamsburg Bridge di ben 400 metri. Oggi è soltanto il 79°: il primo è il ponte giapponese di Akashi-Kaikyō, lungo quasi quattro chilometri e alto poco meno di 300 metri, che unisce la città di Kobe all’isola Awaji.