Mi sono ritrovato spesso nel dibattere con persone che discutono di filosofia, fede e scienza anche in maniera brillante e profonda, ma mescolando i tre piani quasi fossero la stessa cosa. Da ragionamenti del genere, di solito, a uscirne con le ossa rotte è proprio la scienza, ma spesso anche la filosofia non se la passa bene: ciò che – in genere – è il risultato di tali esposizioni è che poiché tutto è fede, chi ha fede è superiore perché ha almeno l’onestà intellettuale di dirlo. 

Va subito detta però una cosa: la pretesa della scienza di avere la spiegazione unica del mondo è fallace tanto quella della filosofia o della fede. Lo scienziato che bolla come “inutili” le riflessioni dei filosofi commette lo stesso errore che definisce “opinabili” i risultati della scienza. Per quanto riguarda la fede, poi, entrambe, scienza e filosofia intendo, devono essere rispettose: un qualsiasi dogma non dimostrabile serve a dare certezze cui aggrapparsi in periodi percepiti come difficili.

Senza fede, non si sarebbe in grado di fare cose che a prima vista parrebbero impossibili: pensiamo ai vari martiri, agli atti di eroismo di cui la storia è piena e, perché no, alle imprese sportive e meno sportive che ci lasciano spesso, quando le sentiamo, a bocca aperta.

 

Attenzione, però: questo non vuol dire che la scienza “sbagli”, o che la filosofia non serva in quanto mera speculazione intellettuale. In maniera molto più semplice, il messaggio da mandare è che si può capire il mondo con la scienza e spiegarlo con la filosofia, mentre la fede è qualcosa che riguarda la sfera puramente individuale.

Proviamo a fare un esempio, che è poi uno di quelli che più rischia di creare equivoci tra scienziati, filosofi e “uomini di fede” (chiamiamoli così).

 

Il concetto di “Luce”, contrapposto ovviamente a quello di buio, ha sempre avuto un grande impatto sui ragionamenti dell’uomo, sin da quando è stato capace di astrazione. Il fatto che ci sia un alternarsi di chiaro e scuro (positivo/negativo, caldo/freddo, sicurezza/timore, e chi più ne ha più ne metta) ha sempre sviluppato narrazioni prima condivise in modo tale da creare il “mito”, poi concetti più elaborati che sono diventati filosofici fino a definizioni fisiche dimostrabili (o falsificabili!) tramite esperimenti che prevedevano misurazioni.

 

Quando si parla di luce, quindi, bisogna ben definire l’ambito del discorso. Posso discutere della luce come illuminazione interiore e comunicazione con il divino, della luce come idea che viene poi ulteriormente approfondita in discussioni filosofiche, o della luce come fenomeno descrivibile mediante una teoria scientifica che ha determinate caratteristiche (velocità finita, possibilità di diffusione/diffrazione, etc.). Ognuno di questi ambiti nasce in relazione a esigenze diverse. Più che altro, risponde a domande diverse. Il fatto che siano nati in ambiti temporali diversi non vuol dire né che il più antico sia preferibile, né che il più moderno sia più giusto. Il vero progresso l’uomo lo fa quando vede come questi tre concetti – la narrazione spirituale, quella filosofica e quella scientifica – interagiscono tra loro non gareggiando, ma esponendo ognuno la propria visione, in modo tale da creare una sintesi (nel senso letterale: un mettere insieme, non nel senso di riassunto) che possa fecondare nuovi pensieri.

 

E invece si cerca in continuazione lo scontro, quasi che una delle visioni debba sopravanzare le altre due. Ho letto critiche filosofiche fatte ai dati; frasi del tipo “dato non è il dato, data è la fede nel dato”. Come se la velocità della luce fosse un qualcosa di discutibile filosoficamente o spiritualmente; quasi che il numero 299.792.458 (numero di metri che la luce percorre in un secondo) sia indicativo della natura della luce, o della sua forza spirituale come idea.

Ho letto concetti del tipo “la EPISTEME greca inventa il termine VERITÀ o ENTE IN QUANTO ENTE. La inventa per contrastare il MITO” (Il maiuscolo non è mio); quasi che la verità possa essere inventata, e soprattutto sia in contrasto col mito. Mentre ci sono dati e idee. I primi non variano, le seconde possono – anzi devono – modificarsi con il tempo. La filosofia greca riteneva la donna inferiore all’uomo. Direi che di passi in avanti se ne sono fatti da questo concetto. Al tempo stesso, la presenza del cromosoma Y a identificare il genere (semplifico) non è variata da allora, anche se non lo si sapeva. Ma soprattutto, ai tempi della filosofia greca non esisteva la scienza.

Questo è un punto fondamentale: usare Platone e Aristotele per “paragonarli” a concetti nati circa due millenni dopo mette qualsiasi discussione di questo tipo fuori fuoco. Sarebbe come dire che gli egiziani hanno costruito le piramidi ma non avevano il parlamento.

 

Insomma, la filosofia non predomina la scienza, la fede non può influenzare ciò che scienza e filosofia producono, la scienza non deve essere usata per “dimostrare” l’esistenza di miti o idee filosofiche (o l’inesistenza, se è per questo). Dio, o le definizioni di “bello” e “sublime” kantiane, continuano a essere valide indipendentemente dalle scoperte scientifiche.

 

Senza voler essere dei relativisti (termine che in bocca a Benedetto XVI o ad Einstein assume due significati ben diversi), non esistono valori assoluti (e anche qui: San Tommaso, Hegel o Bertrand Russell darebbero a questi due vocaboli idee ben diverse), ma solo prospettive diverse della stessa realtà. Assieme si crea un quadro più completo, senza che una debba essere preferibile. E in tutto questo, la luce continua a percorrere i suoi 299.792.458 metri in un secondo.