Il cavallo di Troia era una macchina da guerra ideata dai greci come stratagemma per entrare di nascosto nella città di Troia e conquistarla. Non a caso, fra i malware più celebri ci sono proprio i trojan. Sono programmi solo apparentemente utili e innocui che nascondono al loro interno un codice malevolo che viene attivato quanto l’ignaro utente installa il trojan in questione. Il nome deriva proprio da lì.
Tecnicamente, la storia del cavallo di Troia rappresenta la fine della guerra di Troia. Solo che questa vicenda non viene raccontata nell’Iliade di Omero: il poema, infatti, termina con i giochi funebri in onore di Patroclo e con il funerale di Ettore, ucciso da Achille in duello. E nonostante lo stretto rapporto fra Ulisse e il cavallo di Troia, la storia non ci viene neanche raccontata nell’Odissea: qui il fatto viene solo citato brevemente.
La storia integrale del cavallo di Troia la troviamo raccontata nel secondo libro dell’Eneide di Virgilio. È Enea, principe ed esule troiano, a narrarla alla regina Didone di Cartagine (prima di abbandonarla e ripartire per il suo viaggio, spingendola al suicidio, ma questa è un’altra storia).
Enea, dunque, spiega che dopo dieci anni di assedio inconcludente a Troia, i greci decidono di realizzare il piano escogitato dall’astuto Ulisse. Il greco Epeo, aiutato da Atena, costruisce un enorme cavallo di legno al cui interno si nascondono alcuni fra i più valorosi guerrieri di Agamennone. A guidarli è lo stesso Ulisse.
Finito di costruire in segreto l’imponente cavallo, i greci lo abbandonano (con il suo carico nascosto di guerrieri) sulla spiaggia di fronte a Troia e se ne vanno, apparentemente rinunciando all’assedio e alla guerra.
In realtà i greci si sono limitati a rintanarsi nella vicina isola di Tenedo, fuori dalla vista dei troiani. I troiani credono così ingenuamente che i greci si siano finalmente ritirati e che la lunga guerra sia terminata. Ma cosa fare col cavallo? Laocoonte, in precedenza un guerriero e ora diventato sacerdote di Apollo, dice ai suoi concittadini di diffidare del regalo dei nemici. Secondo lui sarebbe meglio distruggere il cavallo.
Scaglia così un giavellotto contro il cavallo, facendo tremare di paura gli achei, ma senza riuscire a stanarli. Mentre i troiani sono sulla spiaggia che discutono su cosa fare del cavallo, arriva Sinone, un giovane greco che si consegna in mano al nemico. Spergiurando il falso racconta che, avendo messo i bastoni fra le ruote a Ulisse, quest’ultimo ha fatto sì che l’indovino Calcante sacrificasse Sinone per assicurarsi un tranquillo ritorno a casa.
Tuttavia Sinone, continuando a mentire, racconta di essere riuscito a scappare dalla cerimonia nascondendosi fra le paludi. Prima lo si interroga sulla ritirata dei greci e Sinone spiega che Atena, la divinità principale che proteggeva gli achei, aveva deciso di smettere di aiutarli a causa del fatto che Ulisse aveva profanato un suo tempo a Ilio.
I greci, perso il sostegno della dea, avrebbero dunque deciso di ritirarsi dalla guerra, lasciando il cavallo come offerta ad Atena per espiare il sacrilegio. Per spiegare le dimensioni del cavallo, Sinone imbastisce una storia secondo la quale i greci avevano deciso di costruirlo appositamente così grande in modo da impedire ai troiani di trasportarlo dentro la città: se questo fosse accaduto, infatti, l’ira di Atena si sarebbe riversata sui greci. Se invece i troiani avessero distrutto o danneggiato il cavallo, la vendetta di Atena si sarebbe scatenata su di loro.
Convinti da tali menzogne, i troiani decidono di aprire una breccia nelle mura per far entrare il cavallo in città. E questo nonostante Laocoonte e la profetessa Cassandra continuassero a sostenere che si trattava di una pessima idea. Era il 24 aprile del 1184 a.C.
Laocoonte decide così di compiere un rito e di immolare un toro per cercare di convincere gli dei a impedire la distruzione della città. Ma proprio in quel momento due serpenti enormi e dagli occhi infuocati emergono dalle acque del mare e catturano i due figli del sacerdote fra le loro spire. Così il sacerdote, armi in pugno, si precipita ad aiutarli, ma anche lui finisce stritolato dai mostruosi serpenti. Terminato il loro compito, i serpenti si ritirano e si rifugiano ai piedi della divinità che li aveva inviati per sostenere gli achei, Pallade Atena.
Così il cavallo di Troia entra in città. I troiani si mettono a festeggiare. Nella notte i soldati rimasti nascosti nel ventre del cavallo escono e cominciano a uccidere le sentinelle, distratte dai festeggiamenti. Aprono così le porte della città ai compagni, i quali nel frattempo erano stati avvertiti da Sinone.
Così facendo, grazie all’inganno del cavallo di Troia, i greci riuscirono dopo 10 anni finalmente a entrare a Troia, mettendola a fuoco e uccidendo tutti gli abitanti in cui si imbattevano. Il massacro andò avanti anche per tutta la giornata successiva visto che i troiani cercarono comunque di fare resistenza.
Nel corso del massacro, Neottolemo, figlio di Achille e della principessa Deidamia, uccise sia Polite che Priamo, nonostante fossero disarmati e sotto protezione dell’altare di Zeus. Alla fine della strage, i greci si spartirono il bottino: Agamennone prese con sé Cassandra, Neottolemo prese Andromaca (la vedova di Ettore) e Ulisse prese Ecuba (la vedova di Priamo). Enea, invece, riuscì a scappare prendendo il padre in spalla e tenendo il figlio Ascanio per mano, ma perdendo nella fuga la moglie Creusa.