Era tempo di affrontare di nuovo il pubblico americano: e nel settembre del 1963, a di Jane Asher, fidanzata di Paul, il duo Lennon-McCartney si mise a “creare” una nuova canzone. A un certo punto, a Paul scappò un accordo su una melodia in creazione. John lo fermò. “Rifallo” disse. Era nata “I Want to Hold Your Hand”.
Difficile capire perché questa canzone, anche più di “She Loves You” abbia fatto esplodere la beatlemania come fenomeno mondiale. E attenzione: non parliamo solo di fan impazzite, di groupie o di ragazzine che vedono più la boy band che la musica che fanno: stiamo parlando dell’attenzione che viene riservata alle loro creazioni da gente del calibro di Bob Dylan.
I Beatles registrarono il brano il 17 ottobre, utilizzando per la prima volta il nuovo registratore a 4 piste Dodici giorni dopo, il 45 giiri era pronto per il mercato inglese. Si decise di attendere, per gli USA, il 13 gennaio del 1964. Ma un dj di una radio di Washington cominciò a trasmetterlo, grazie a una copia del disco che la sua fidanzata gli aveva portato da Londra. Il successo fu tale che la Capitol fu costretta ad anticipare di due settimane l’uscita del disco. Il 18 gennaio del 1964 diventerà la prima ‘Numero uno’ negli Stati Uniti dei quattro di Liverpool innescando la “beatlemania” oltreoceano. Tra le versioni live passate alla storia, quella del 9 febbraio del 1964 quando i Fab Four si esibirono in televisione all’Ed Sullivan Show, uno dei momenti storici del loro cammino.
Fermiamoci un attimo, e vediamo quale può essere il motivo musicale di tale successo. I critici più bravi, videro subito che la canzone conteneva dei “gruppi pentatonici”. Cioè? Nella sequenza di accordi della strofa, c’è inserimento di un quinto accordo (minore) in quarta posizione. Questa cosa, mutuata (ma loro non lo sapevano) dalla musica classica, rese quella canzone irresistibile.
Sul lato B del 45 giri, “This boy”, una canzone complessa e bellissima, che per qualunque altro gruppo sarebbe stato il coronamento di una carriera.
Ma prima di andare negli USA, un’altra canzone, pietra miliare del percorso fantastico dei Beatles, doveva essere composta.
Il 29 gennaio 1964, in una pausa dei concerti che tenevano a Parigi con un successo che faceva sicuramente storcere il naso a nostri cugini d’oltralpe, i Beatles furono portati molto controvoglia agli studi EMI francesi, per registrare in lingua tedesca i due maggiori loro successi fino a quel momento: She Loves You (Sie Liebt Dich nella lingua di Kant) e I Want To Hold Your Hand (Komm Gib Mir Deine Hand).
Lo studio era stato prenotato per due sedute, ma i Fab Four riuscirono, nella sola prima seduta, non solo a registrare i due brani “tedeschi”, ma anche a incidere una nuovissima canzone che Paul McCartney aveva scritto – da solo, ed era questa la novità – al pianoforte verticale della loro suite all’hotel George V. Era così nuova che ci furono tentativi diversi, dal blues fino al rock della versione finale registrata ad Abbey Road, una volta che erano tornati in Inghilterra, dove George sovraincise anche l’assolo di chitarra.
E fu l’ennesimo successo. Ma stavolta, per la prima volta, i Beatles cominciavano a lavorare da soli. Questo si rifletteva anche sul fatto che Paul cantò la canzone da solista. Da quel 29 gennaio, le canzoni scritte in due saranno minoranza.
“Can’t Buy Me Love” fu l’ennesimo successo. Basti pensare che la prima cover fu fatta, poco dopo l’uscita del 45 giri, da Ella Fitzgerald, non proprio l’ultima arrivata.
Negli Stati Uniti il nuovo singolo, con “You Can’t Do That” sul lato B, vendette due milioni di copie solo nella prima settimana e divenne disco d’oro il giorno stesso della sua uscita. E pensare che il lato B fu la prima canzone scritta (Da John da solo, stavolta) negli USA, a Miami per la precisione. Ne fu registrata un’esecuzione video con trecento figuranti pensando al film “A Hard Day’s Night” (poi la versione non fu inclusa nel film distribuito). Uno dei trecento figuranti si chiamava Phil Collins, che avrebbe avuto – anche lui – un discreto successo qualche anno dopo.
Ma prima di uscire con il primo LP del 1964, stavolta legato a un film, c’era da lavorare, per i quattro ragazzi di Liverpool: le scadenze (4 45” e due LP all’anno incombevano, era giugno e avevano al loro attivo solo un 45, anche se di successo come “Can’t Buy Me Love”
Si decise, quindi, di pubblicare un EP. L’Extended Play, un disco 45” ma con due canzoni per lato (più grande rispetto al 45 normale) non era una novità per i Beatles, ma fino ad allora erano stati pubblicati solo EP con canzoni già uscite. Stavolta, quello intitolato “Long Tall Sally” avrebbe avuto quattro canzoni inedite.
Tre di queste, ossia quella che da il titolo all’EP (una cover di un pezzo di Little Richard), e l’intero lato B ossia Slow Down, dove canta John e si sentono degli errori di una registrazione fatta di fretta e Matchbox, cantata da Ringo non sono pezzi scritti da loro. Solo la seconda canzone del lato A, “I call Your Name” è di Lennon-McCartney. La canta John, e sembra quasi una lamentazione per la perdita della madre (ma John stesso affermò che, se anche fosse stato così, lui non ci aveva pensato affatto). Che è una canzone sulla mancanza, però, sembra chiaro anche perché Ringo la canta in un concerto di tributo a John Lennon.
Ma il tempo del primo LP del 1964 era ormai arrivato: il 10 luglio esce “A Hard Day’s Night”, terzo album dei Beatles, e il primo definito come “colonna sonora” dell’omonimo film.
Il film null’altro è se non un “musicarello”, come venivano chiamati in Italia le pellicole di questo tipo, dove si vedono i quattro ragazzi alle prese con il loro successo e con situazioni al limite del surreale (il nonno di Paul forse ne è l’esempio più lampante). In realtà, solo i sette brani del lato A compaiono nel film, assieme ad altri successi del gruppo. Il lato B è composto da pezzi che nel film non ci sono. E non è l’unica novità del disco:
– Tutti i pezzi del 33 giri hanno firma Lennon-McCartney. È la prima volta che succede;
– Le canzoni sono “solo” tredici: ai sette pezzi del lato A, infatti, ne corrispondono solo sei nel lato B. Il fatto che l’ultima canzone “I’ll be Back” sia un lento, fa pensare che non si sia trovato – per la fretta di pubblicare, molto probabilmente – l’ultimo brano, quello “col botto”, come furono “Twist and Shout” e “Money” nei due casi precedenti.
– Ringo non canta, e George canta solo un pezzo, scritto oltretutto da Lennon-McCartney.
Detto questo, l’album non è uno dei loro migliori, anche se ha – come in tutte le loro opere – cose notevoli:
Nel brano di apertura, che il titolo ad album e film, l’apertura è un accordo di Harrison che non si riesce ancora a replicare. È forse l’accordo introduttivo più famoso della storia della musica del XX secolo. Come detto, i ragazzi forse non avevano cultura musicale. Ma un talento così sconfinato capace di ricreare quasi per genetica tutta la storia dell’armonia e anche la capacità di superarla;
Il titolo “A Hard Day’s Night” è uno dei tanti giochi di parole “non voluti” di Ringo, che fu subito colto al volo dal John e Paul;
Le armonizzazioni vocali tra Lennon e McCartney sono meravigliose in più di una canzone: “If I fell”, “Tell me why”, la stessa “A Hard Day’s Night”.
Insomma, con questo album i quattro si sono divertiti e rilassati (nessun pezzo supera i 2 minuti e 45 secondi), e la musica risente di quest’atmosfera meno tesa. Per loro era ora (se in vacanza fanno album del genere, comunque, vuol dire che ancora di cose musicali da dire ne avevano, eccome), per noi una gustosa pausa in attesa di piatti di ben altro valore.
Del resto, la genialità del gruppo, di John in particolare, era evidente anche nei concerti. Alla fine del 1963, Lennon durante un concerto alla presenza della famiglia reale, disse una frase che demolì determinati cliché sociali, inscalfibili nell’Inghilterra di allora. Prima dell’ultimo pezzo disse al pubblico: “Abbiamo bisogno del vostro aiuto. Quelli nei posti economici possono battere le mani. Gli altri, facciano solo scuotere i gioielli”. Brian Epstein, il loro manager, e il “politico” Paul si innervosirono, ma – come al solito – John aveva ragione.