L’era degli scarti, di Marco Armiero – Einaudi – 2021 – €15,00


Dare il massimo a un libro non mi capita spesso. Ma cinque (su cinque) per questo agile volumetto di poco più di cento pagine è un voto strameritato. Tanto che chiedo formalmente al mio caro amico Marco Iannelli di organizzare, non appena possibile, un laboratorio basato su tale opera.

E’ un libro scomodo, che fa arrabbiare, e che rende consapevoli di come il problema ecologico, o comunque di eco sostenibilità ambientale del pianeta, sia una maniera distorta di vedere la violenza che una parte dell’umanità (ecco il punto focale. Solo una parte dell’umanità) sta arrecando al pianeta.

Tutto parte da un concetto tutto sommato facile: il neologismo “antropocene”, ossia l’effetto che l’essere umano con le sue attività è riuscito compie sui processi geologici tramite modifiche territoriali, strutturali e climatiche sia nel sua chiamata in causa di tutta l’umanità un termine falso e che pulisce la coscienza di tante, troppe parti del mondo.

In realtà è solo una parte del mondo che sfrutta il pianeta ben oltre le sue possibilità. E lo fa tramite la produzione di “scarti”. Dovessimo identificare l’effetto che questo periodo compie sull’ambiente forse è proprio la produzione di scarti. E questi scarti non sono solo gli oggetti stessi dello scarto (le battaglie ecologiche si concentrano infatti su questo, affrontando e cercando di risolvere solo un pezzo del problema, e neanche quello più importante), quanto quelle che l’autore chiama wasting relationships, ossia le relazioni comunitarie che hanno portato alla produzione di scarti. Il “wasteocene”, infatti, non è solo lo scarto di un’industria, lo smog di una ciminiera o lo sverso di un liquame; è la creazione dei rapporto di scarto stessi, intesi come “alterità più rifiuto”. In questo senso, gli scarti non sono solo gli oggetti, ma anche tutta quella parte di umanità “altra” che con gli scarti è costretta a viverci affinché ci sia un’elite che consuma.

Gli scenari presentati e descritti sono terrificanti: c’è un potere che prima nasconde lo scarto, e quando non può più farlo (Vajont, emergenza rifiuti a Napoli, solo per citare due casi di casa nostra) compiange le vittime senza cercare le cause in nome di una pelosa compassione, oppure cerca di ripristinare l’equilibrio della wasting relation iniziale, “ripulendo” senza in realtà cambiare nulla di una situazione che vede una parte dell’umanità “alterizzare” per poi mettere a rifiuto tutto il resto.

Pur nella brevità del testo, Armiero propone anche soluzioni alternative, che lui chiama di commoning, per cambiare i paradigmi del “wasteocene”: sono situazioni interessanti, che meritano di sicuro un’attenzione più profonda del semplice liquidare tali idee come utopie irrealizzabili.

Ma il merito maggiore del volume è il discorso globale affrontato, e che possiamo sintetizzare con una frase riportata verso la fine del libro: “la cultura (intesa come commoning, ndr) ci avvicina, ci trasforma, ci permette di generare rapporti diversi. Attraverso il fattore culturale si possono costruire alternative allo stato di cose esistente”.

Un libro da meditare e condividere con altre persone in ogni singola frase. Quindi Marco, a quando il laboratorio?

Voto 5/5