Barbero è storico di valore e divulgatore eccezionale, e questo libro conferma in tutto e per tutto queste sue doti. Interessante vedere il rigore storico applicato soprattutto al periodo dell’esilio di Dante, quando rifugge i “sentito dire” o la narrazione di Boccaccio, cercando solo conferme altre, senza prendere per oro colato ciò che viene raccontato. Questo diminuisce un poco l’”epica” dell’esilio Dantesco, ma ne restituisce un’immagine più umana.
Essendo storico, e non esperto di letteratura, Barbero parla poco delle opere di Dante. Ma è Dante che parla solo con quelle, e quindi il personaggio che esce fuori dal libro è quello di un politico in disgrazia che è ANCHE un poeta e intellettuale. Probabilmente all’epoca era visto così, ma adesso – per noi – è tutto il contrario. E questa cosa ci fa “storcere un po’ il naso” (intendiamoci, in senso buono”) quando Barbero cerca, proprio nella “Commedia”, riferimenti sulla vita del poeta, quasi che fosse un diario, e non quell’opera immortale che è.
Interessante anche, nella parte pre-esilio, la descrizione di Firenze e dei suoi intrighi. Qui, dove il mestiere dello storico si basa su fonti molto più certe e solide, Barbero ci appassiona, quasi facendoci entrare dentro quella litigiosa città (e che cambiò il nome, da Fiorenza), proprio durante l’esilio di Alighieri.
Sono severo mettendogli solo 3 su cinque, lo so, perché il libro merita di essere letto. Ma so per certo che il terreno medievale è scivoloso anche per uno come Barbero.