Scrivere di Diego è scrivere del calcio. Non è stato il primo calciatore, è di sicuro non sarà l’ultimo, ad avere gestito in maniera folle la propria vita. La gestione del “genio” è sempre complessa, e non sempre sostenibile da chi ha avuto dal fato un regalo del genere, non solo nel calcio.

 

Ma c’è una cosa che ha reso unico Diego Armando Maradona: il fatto di essere stato quello che riusciva a vincere da solo in uno sport di squadra. Neanche Pelé ci riusciva, ed è per questo che – al di là della differenza temporale, che tutto sommato non è enorme – è Diego il D10s del calcio, come stanno scrivendo in tanti in questi momenti.
Non mi voglio soffermare sulle sue imprese note e stranote: dalla “mano de dios” al gol probabilmente più bello dei mondiali, fatti entrambi contro l’Inghilterra nella stessa partita e che hanno ridato agli argentini un orgoglio nazionale che quattro anni prima, con la guerra delle Falkland e il crollo del regime militare, credevano di aver perso. Oppure il suo periodo con il Napoli, dove in pochi anni ha fatto vincere ai partenopei tutto ciò che prima di allora avevano solo sognato, con giocate che ancora oggi ricordiamo e rivediamo. Inutile: le sappiamo tutti quelle cose, fanno parte della nostra cultura.

 

Perchè il calcio è cultura, e Maradona, lo straccione Maradona, quello nato povero, cresciuto e diventato ricco, che ha sprecato patrimoni fidandosi di gente sbagliata, ha fatto cultura quanto la ha fatta Umberto Eco.

 

Voglio ricordare un solo episodio, che è l’esempio di come Diego sia stato il calcio. Ottavi di finale di Italia ’90. La partita è Brasile-Argentina. La nazionale albiceleste è alla seconda fase di quel mondiale solo come una delle migliori terze, e trova per l’ennesima volta il Brasile sul suo cammino. Otto anni prima ne fu annichilita, e sembra che la storia debba ripetersi. La partita è un assedio verdeoro, che però non si concretizza. A dieci minuti dalla fine, LUI prende la palla a centrocampo. Danza per 40 metri, evitando calci e dribbling dei brasiliani, che alla fine, al limite dell’area, credono di averlo neutralizzato. Sono in quattro contro uno: che vuole fare, quel piccoletto?
Ebbene, trova una linea di passaggio impossibile, mettendo Caniggia solo davanti al portiere. Una magia che solo lui può fare. Caniggia segna, e regalerà all’Argentina il quarto di finale. Ma non è esatto. E Diego che ha regalato a Caniggia la gloria, e alla sua nazionale la vittoria.

 

È stato il sogno, la magia, l’eccesso. Nessuno sarà più come lui, in un calcio sempre più circo Barnum.