Ripartiamo dalla costituzione: nel 1948, il numero di deputati e senatori veniva individuato nella seguente maniera:

1) Un deputato ogni 80.000 abitanti;
2) Un senatore – eletto a base regionale – ogni 200.000 abitanti o frazione superiore a 100.000, con la Valle d’Aosta che ha un senatore.

Per quanto riguarda il punto 1), il calcolo nel 1948 dava circa 580 deputati; il punto 2) invece definiva circa 235 senatori. Il motivo per cui la Valle d’Aosta veniva menzionata era semplice: poiché il Senato era a base regionale, e quella regione aveva meno di 100.000 abitanti, l’eccezione andava esplicitata. Il fatto che non ci fossero le “regioni” (argomento dei fautori del “SI”), è quindi una panzana: non solo venivano considerate, ma le elezioni regionali erano già previste nel 1948 (il fatto che poi venissero realizzate solo nel 1970, e aggiungendo il Molise che richiese un’altra eccezione in stile Valle d’Aosta è vero; ma non è colpa della Costituzione, ma della lentezza dei politici di allora, quelli che tanto rimpiangiamo oggi).
Leggiamo poi l’articolo 60 del 1948: “La Camera dei deputati è eletta per cinque anni, il Senato della Repubblica per sei.” Quindi: avevamo due camere una con collegi nazionali e una con collegi regionali, una eletta per cinque anni e una per sei Il bicameralismo perfetto serviva semplicemente a confermare leggi e fiducia nell’esecutivo da due “punti di vista elettorali” diversi. Non solo: la prime elezioni prevedevano il proporzionale per la camera e il maggioritario al senato. Quindi qualsiasi errore sistematico del metodo di votazione veniva “corretto” dall’altro. Infatti, dal punto di vista matematico non esiste una votazione “giusta” in assoluto: tutte portano qualche sotto rappresentanza. Adottandone due, si mitiga questo tipo di errori.

Si può vedere come i padri costituenti avessero già previsto, più di 70 anni fa, tutti i dibattiti che ci stanno propinando adesso.
Nel 1963, poi, dopo aver “formalizzato” il fatto che il senato durasse cinque anni come la camera (quindi senza decreti di scioglimento da parte del presidente della repubblica), e aver di fatto reso proporzionale anche la camera alta (con il vincolo del maggioritario solo se si prendeva almeno il 65% dei voti del collegio: cosa virtualmente impossibile), il numero di deputati e senatori veniva fissato in 630 e 315. Per la popolazione dell’epoca , voleva dire uno ogni 80.000 abitanti per la camera, e uno ogni 160.000 abitanti per il senato. Il rapporto 1/80.000 (per capirci: un deputato per tutta la città di Varese) è ragionevole in base alla variegata composizione sociale e culturale italiana: anche dopo 160 anni di storia unitaria, le differenze tra le varie zone continuano a essere molto più marcate da noi che non in nazioni di più lunga storia unitaria come Francia o Spagna (per restare nelle culture latine)

Vediamo adesso la situazione con la scellerata proposta fatta dai 5S e subita dal PD (e caldeggiata ovviamente da Lega e FdI: figuriamoci…): 400 deputati, di cui 8 eletti nelle circoscrizioni estero. Quindi 392 deputati per 60 milioni di persone, ossia un deputato ogni 153 mila abitanti. Quasi dimezzata la rappresentanza (e infatti, per tornare all’esempio di prima, sarebbe un solo deputato per l’intera provincia di Rieti, a esempio), e un senatore (peggio mi sento!) ogni 306 mila abitanti (un senatore per le province di Nuoro e Oristano: mezza Sardegna rappresentata in senato da una sola persona). Non si capisce perché questa cosa dovrebbe far funzionare meglio le camere (i cui regolamenti non vengono modificati) o migliorare il “bicameralismo perfetto” (che se va modificato, va fatto a ragion veduta e non eliminando, come voleva fare in sostanza Renzi, una camera).

Oltretutto, non esiste ancora una legge elettorale che rifletta questa cosa e in caso di vittoria (probabilissima) del SI, avremmo con la legge attuale 147 collegi uninominali per la camera (uno ogni 400.000 persone) e 74 per il senato (uno ogni 800.000 persone: Roma eleggerebbe solo 3 o 4 senatori), demandando gli altri a collegi plurinominali a liste bloccate (ossia scelte dai politici che i fautori del SI dicono di voler osteggiare). Votare SI determina la rinuncia a essere rappresentato da parte del popolo, in sostanza.
Che le camere debbano funzionare meglio è fuori discussione: ma se un ospedale funziona male si cambiano i medici, non se ne riduce il numero. Chi rimane sono sempre dottori incapaci, ma con minore capacità lavorativa.
Un’ultima cosa sul risparmio: 100 milioni l’anno (un paio di caffè a cittadino; lo 0,012% del bilancio statale). Vale la pena perdere la nostra rappresentatività per così poco? (la mia risposta è: NO, ma neanche per molto: la democrazia ha un costo, e voglio potermela permettere).

Ora votate pure SI: vi lamenterete sempre dei “magnoni”, ma più contenti perché saranno di meno. Ad absurdum, votiamo per eleggerne uno solo: si risparmia molto di più.